sabato 29 novembre 2014

"Smith&Wesson" di Alessandro Baricco

"Tutti saltano nello stesso modo via dalla loro vita, oltre se stessi, rischiando tutto per sentirsi davvero vivi". Rachel Green sceglie un modo tutto suo per sentirsi viva, per scalzare il destino, sfidarlo, tentare qualcosa che nessuno ha mai fatto: lasciarsi cadere dalle cascate del Niagara in una botte. Trasformare un luogo di morte nel trionfo della vita.
Il 21 giugno 1902, complici due improbabili e scanzonati geniacci, Tom Smith e Jerry Wesson, davanti ad una folla gremita di spettatori giunti da ogni dove, Rachel tenta la sorte lasciandosi portar via dal fiume.. 
Accade una notte, accade che.. un pescatore di cadaveri perfetto conoscitore della geografia dei fiumi meno dell'anima degli uomini, e un meteorologo con un passato da inventore fallito, si lascino convincere da una giovanissima giornalista desiderosa di dimostrare il suo valore a cogliere l'ultima occasione per battere la noia della solitudine e la discriminazione dei vincitori: sopravvivere alle cascate del Niagara, all'abbraccio della natura selvaggia.
Con un battage pubblicitario senza precedenti e la folle determinazione di una ragazza disposta a tutto per conquistare la propria indipendenza, Smith e Wesson tenteranno l'impossibile, sfidando la ragione e l'assennatezza. Quello che verrà sarà il ricordo di un'impresa e un monito a raccontare del coraggio di una donna e della straordinaria e magica follia dei sogni, realizzati ad ogni costo. Raccontare per ricordare che "seminammo immaginazione, e follia, e talento".
Un testo teatrale breve e intenso che tratteggia personaggi strani, folli e divertenti al limite della caricatura ma ricchi di pathos. Una strana coppia che nel nome porta inciso il marchio dell'esplosiva vivacità, ed una giovane protagonista indomita.
Una narrazione, quella di Baricco, che stranamente svia il lettore. Tutto sul filo del lezioso, del costruito, quasi troppo controllato, dosato. Persino le parole, vero è come lascia dire a Smith che "le parole sono piccole macchine esatte.. se uno non le sa usare, tanto vale che non le usi". 

giovedì 6 novembre 2014

"Guardati dalla mia fame" di Milena Agus e Luciana Castellina

8 marzo 1946. Andria.
La piazza è piena di gente, giunta da ogni dove per il comizio di Giuseppe Di Vittorio.
La guerra sembra alle spalle ma è un'illusione. La guerra vera, quella che si combatte ogni giorno, da sempre, per milioni di affamati e poveri cristi, non è mai finita, tanto più in terre svuotate di tutto persino della speranza, come le campagne pugliesi, ostaggio di latifondisti.
Ma in quell'otto marzo  1946 "la fame si fa violenza e chiede vendetta".
La gente aspetta solo un pretesto per rivoltarsi contro i padroni, quei proprietari terreni, quei nobilotti di paese che da sempre li affamano, e accade.
Dal tetto di Palazzo Porro che si affaccia sulla piazza principale del paese si avvertono spari, e la folla, inferocita, reagisce.
E' un momento e il palazzo è accerchiato, assaltato e gli occupanti stanati e colpiti, alcuni fino alla morte.
Ma a Palazzo Porro non ci sono uomini né alcuno che possa o voglia aggredire la povera gente. Il palazzo è di proprietà delle sorelle Porro, pie donne nubili la cui vita "disabitata" è ai margini di un racconto corale di paese dove i gesti sono ripetuti, i silenzi colmi di significato e le attese sospese.
Non c'è nulla nella loro quotidianità che non sia regolato, non leggono altro che fede nei gesti della gente e ne ignorano difficoltà, sogni e speranze. Sono avulse dalla società, rintanate nella loro casa fatta di merletti, preghiere e ricami, risparmi e implicite mortificazioni dell'anima, loro che escono solo per andare in chiesa di cui sono benefattrici, certe che quel bene venga condiviso con chi ha bisogno davvero, loro che "non protestavano e non domandavano niente più che di esistere".
Il giorno dopo l'assalto a Palazzo Porro ovunque ad Andria è silenzio, in piazza come nelle case della gente, silenzio assertore di un fatto di irrevocabile evidenza: le sorelle Porro sono morte, ree come tutti gli altri proprietari terrieri di "non avere fame" ma "affamare", di provocare con la loro solo presenza. Giustizia, o meglio, vendetta è compiuta, del resto "era gente soddisfatta di sé e invece.. se c'era qualcuno di cui diffidare, era proprio la gente soddisfatta di sé".
Il processo che seguirà, individuerà i colpevoli tra la gente, corpo indistinto, denunciando l'atavico problema di una discriminazione sociale senza tempo, arma crudele.
A raccontare la storia dell'omicidio delle sorelle Porro in due parti volutamente distinte le penne della Agus e della Castellina in una narrazione che confronta e colma la storia di pathos emozionale tipico dei romanzieri all'analisi lucida e ricca di dati del giornalismo.
La scrittura bifronte è palpitante e pregevole e di disarmante lucidità nel raccontare pagine della nostra storia moderna forse forzatamente dimenticata per edulcorare i drammi di una nazione come la nostra frammentata e problematica mai giunta a maturità sociale.