domenica 29 settembre 2013

"Storia di Irene" di Erri De Luca

"Scrivo storie e le vendo al mercato. Apro la valigia di commesso viaggiatore, mi metto a strillare i miei titoli buffi che nessuno ricorda e che richiamano l'attenzione per mezzo minuto".
Così uno scrittore parla di sé, lo fa ad una ragazzina su un'isola greca. Un posto di silenziosa e selvaggia bellezza dove ritrovarsi e ritrovare il senso della vita, magari guardando il mare, che è madre e matrigna, possibilità infinita, chiusura probabile. E la ragazzina a cui parla, Irene, orfana del tempo e del mondo, ha occhi luminosi, viso aperto e una saggezza infinita. Ha solo quattordici anni e un figlio in grembo, agli occhi della piccola comunità dell'isola è sospetta, straniera, diversa. E' così silenziosa da esser creduta muta ma Irene "sa le risposte a cose che non fanne domande", le trova tutte in mare che per lei è madre, è famiglia, è tutto. Lì ci sono i delfini, suoi compagni di vita, tra loro Irene non è altro, non è diversa, non è straniera. In mare Irene ha la sua origine, ha la sua forza, ha il suo essere e allo scrittore che ascolta trattenendo il fiato perché "stare in ascolto è immergersi in mare" e che le prospetta vita nuova sulla terraferma, dove sfiorare la neve, sperdersi tra i giovani come lei, lottare per salvare i suoi amati delfini, impegnarsi, ballare, ridere tra la gente, lei oppone dubbio, resistenza. E' un momento, Irene si scosta dal corpo dello scrittore come si scosta dalle lusinghe di una vita altra, che non le appartiene, perché lei che è bellezza, che è vita, che è fiera purezza appartiene al mare.
"Le storie sono un resto lasciato dal passaggio. Non sono aria ma sale, quello che resta dopo il sudore" e lo scrittore rievoca così la figura del padre Aldo, poco più che un'istantanea della sua storia. Nel settembre '43, per lui il mare segna "la libertà a vista" dopo la segregazione di una guerra senza perché, che non lascia scampo, che obbliga a vivere. O ancora la struggente mimica di un vecchio nei bassi di Napoli nel dopoguerra, don Saverio, che  "..si tuffa a mare, la vita che aspettava un'ora di felicità per togliere il disturbo" perché in case abitate dalla povertà, sfiorate dall'egoismo poca alternativa riserva la lotta per la sopravvivenza.
De Luca incide le parole nel cuore e nella mente del lettore. Frasi brevi, quassi massime di vita. Saggezza popolare e forza espressiva in un linguaggio che identifica la sua scrittura, forzando a pensieri nuovi, a riflessioni, prese di coscienza. Ed è emozione, bellezza, intensità.

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