domenica 31 luglio 2011

"Il sangue che resta" di Jennifer Lee Carrell

Kate Stanley è una giovane e brillante studiosa di Shakespeare. Alla carriera accademica ha preferito la regia teatrale in giro per il mondo ma, complice una cara amica a cui non può dire di no, accetta di aiutare Lady Nairn a venire a capo della morte del marito Angus, collezionista di reperti del tempo dello Scottish Play ovvero del Macbeth, l'opera maledetta del Bardo, di cui la stessa desidera mettere in scena una rappresentazione teatrale, fidando nel testo originale, antecedente a quello comparso nel 1623 sette anni dopo la morte dell'autore, che è certa sia appartenuto alla sua famiglia e che metteva in scena il male con tanto di streghe, incantesimi ed evocazione di spiriti demoniaci.
Perchè Shakespeare cambiò il testo a qualche ora dalla prima messa in scena? Fu forse per la morte sospetta dell'attore che interpretava il ruolo di Lady Macbeth? E quali oscuri intrighi di corte e potere celavano la stesura del testo? E a distanza di secoli chi si ostina ad inscenare strani sacrifici e rituali nelle campagne scozzesi per recuperare il manoscritto perduto e gli oggetti di scena di quella prima rappresentazione? E' possibile evocare il male? Credere nelle streghe?
La povera Kate si trova invischiata suo malgrado in una indagine rocambolesca al limite della logica, del resto 'non esiste altro che ciò che non esiste'.
"Intendi davvero sostenere che il genio di Shakespeare sia dovuto al fatto che abbia spiato un rito magico?". E dopo la lettura di questo secondo romanzo con protagonista Kate Stanley bisognerebbe chiedere alla Carrell se è lecito sostenere una trama così inverosimile fidando esclusivamente nell'amore dei lettori per Shakespeare? La trama è confusa, esagerata, forzatamente lunga in una conclusione che fa dubitare il lettore di ricordare i nomi dei protagonisti e la loro suddivsione nel campo buoni/cattivi. L'alternarsi con gli 'interludi' narrativi che riportano al tempo di Shakespeare risulta quasi inutile. Lento, noioso, pieno di rimandi a tradizioni, arti magiche, riti. Si arranca in un finale improbabile e drammaticamente aperto.. ovvero il lettore si imbatterà ancora nella Kate Stanley.

"L'antiquario" di Julían Sánchez

Barcellona. "Sul tavolo giacevano alcuni vecchi libri scampati all'oblio grazie a una famiglia che se ne era dovuta disfare e a un vecchio antiquario ansioso di comprendere il passato".
Il vecchio antiquario è Arthur Aiguander e il fiuto dell'esperto ha scoperto tra i vecchi libri un manoscritto tanto prezioso quanto misterioso. Come sempre Arthur mette a parte del ritrovamento i suoi amici più cari, antiquari come lui: Samuel, Enric e Guillem. Ma un terribile presentimento lo spinge a scriverne anche al figlio adottivo, Enrique, un affermato scrittore.
Forse più di un presentimento..
Il corpo di Arthur verrà rinvenuto cadavere nel suo negozio. La vittima ha aperto al suo assassino che si è accanito con studiata violenza sul suo corpo. Chi è stato ad ucciderlo? Un ladro d'opere d'arte, detto il Francese, che lo aveva minacciato? Alcuni criminali che riciclavano denaro sporco nei negozi d'antiquariato che andavano ad aprire nel quartiere e che lo stesso Arthur aveva denunciato? O qualcuno dei suoi amici? Mentre la polizia indaga, Enrique sconvolto dalla notizia porta avanti un'inchiesta parallela.. forse l'assassino del padre voleva impossessarsi del libro misterioso da lui ritrovato. Ma cosa ha di tanto prezioso un manoscritto medioevale che racconta di un architetto di nome Pere Casadevall? Un tesoro? Nascosto da Casadevall su indicazione degli ebrei al tempo perseguitati in Spagna? E dove? Perchè? Può un tesoro ridursi ad una sola pietra.. un diamante.. ma non una pietra qualunque.. la Pietra di Dio.. che reca inciso un nome che non deve, non può essere pronunciato..
Tra poliziotti, antiquari ed esperti di storia antica si dipana un mistero che corre nei secoli e spinge a non fidarsi di nessuno perchè "nemmeno le persone più vicine si conoscono".
Un thriller storico assai deludente quello dello spagnolo Julían Sánchez. Piatta la narrazione, lento il ritmo dell'azione, banali i personaggi - il peggiore, il protagonista, tra tutti il meno dotato di forza, di carattere, addirittura snervante, se fossimo in teatro diremmo che 'non tiene la scena'- scontato il finale. L'unica parte che risulta interessante è il racconto del manoscritto di Pere Casadevall che tratta di tematiche storiche, politiche e sociali del XIV secolo quali la peste, la costruzione delle cattaedrali, la difficile situazione degli ebrei fino a descrivere gli orrori dei tribunali dell'Inquisizione che di lì a breve puniranno infedeli, eretici, etc. Ma questo non basta a salvare un romanzo, anzi..

venerdì 29 luglio 2011

"La musica segreta della terra" di Mari Strachan

Anni '50. Gwenni vive in un piccolo paese del Galles. La gente la considera 'stramba' eppure Gwenni è semplicemente una ragazzina curiosa, intelligente, altruista. Verrebbe da dire.. nonostante tutto. Nonostante le piccole e continue angherie della sorella Bethan con cui deve dividere il letto, il tiranno capriccioso di sua madre che non fa che rimproverarla e additarla, le piccole e grandi rinunce quotidiane: da un libro ad un quaderno su cui annotare le sue storie. Sì, perchè Gwenni ama viaggiare con la fantasia e non solo.. in sogno vola, vede cose che gli altri non vedono. Semplice sensibilità, dote straordinaria o forse solo un'estrema forma di compatimento delle sofferenze altrui. Eppure in volo in sogno una notte qualcosa.. qualcuno la spaventa. Un corpo che galleggia in acqua. A chi appartiene? Cosa può significare? Impossibile parlarne alla madre, anima tormentata, né alla sorella. Eppure qualcosa è davvero accaduto in paese.. un assassinio terribile che vede coinvolta persone a lei care. Decisa a venire a capo del mistero, novella investigatrice sui generis, Gwenni verrà a capo del segreto che sconvolge la sua famiglia e che a dispetto di tutto e tutti, dolore e sofferenza fisica, verrà svelato, liberando Gwenni dall'infanzia, da un passato di umiliazioni e patimenti, ricongiungendola ad un sonno sereno, un sogno alato che le regalerà la gioia di un futuro carico di aspettative, in fondo 'le cose non sono mai come sembrano là fuori'.
La forza della storia della Strachan sta tutto nella protagonista -Gwenni- e nella sua diversità percepita in un piccolo paese di provincia quasi come il male. Gwenni maschera timidezza con incoscenza, è buona verso i bambini, attenta verso le richieste degli adulti, rispettosa dei ruoli, a dispetto di una morbosa condivisione di tempo nelle varie attività della chiesa in cui si maschera ogni occasione per spettegolare Gwenni è premurosa verso i più umili e incapace di giudicar male. E' vessata, dimenticata eppure non prevarica nessuno, riversa tutto nei sogni, in un ancestrale desiderio di comunanza con la madre terra da cui trarre forza e serenità. Un personaggio così comp'ensa la pochezza e la lacunosità della trama.

giovedì 28 luglio 2011

"Le luci di settembre" di Carlos Ruiz Zafón

"Camminare per Cravenmoore era come addentrarsi in un sogno inebriante e insieme spaventoso"
Estate 1937. In un piccolo paese costiero della Normandia, una donna e i suoi figli adolescenti tornano ad abitare la Casa del Capo, una piccola dimora in legno bianco incastonata tra gli scogli. Sono Simone Sauvelle, da pochi mesi vedova, Irene e Dorian. Sballottati lontano da Parigi, un patrimonio divorato dai creditori, costretti a lavorare per vivere i Sauvelle sperano in un futuro più tranquillo. Ignorano che l'estate nella casa sulla baia stravolgerà le loro vite e quelle della piccola comunità di pescatori.
La causa.. quel che abita la residenza nel bosco di Cravenmoore.
Non il geniale costruttore di giocattoli Lazarus Jann, né la moglie malata al cui cospetto nessuno è ammesso, nemmeno Simone che vi lavorerà come governante ma qualcosa.. una presenza spettrale, agghiacciante che sembra animare le macchine d'acciaio che Lazarus chiama giocattoli.
E mentre a Cravenmoore torna ad abitare il male, lungo la costa Irene incontra l'amore in un marinaio, Ismaele, che la incanta con storie di mare e di fantasmi.. una sembra coinvolgere qualcuno di vicino, qualcuno che in apparenza abita ancora a Cravenmoore.
In una inquientate escalation di orrore e morte, tra leggende mistificate e proiezioni di incubi inconsci un'ombra ghermisce gli ospiti di Cravenmoore rubandogli l'anima e la vita stessa. Solo un gesto d'amore disperato saprà arrestarne l'opera distruttrice.. per sempre.
E per sempre sarebbe stato anche l'amore di Irene e Isamel, a dispetto dell'estate a Cravenmoore e della guerra che di lì a breve avrebbe sconvolto il mondo rivelando un'altra agghiacciante ombra lunga del male: "Da quella notte ho saputo che un giorno, non importava quando, sarebbe giunto il nostro momento. Che in un luogo lontano le luci di settembre si sarebbero accese per noi e che, stavolta, non ci sarebbero più state ombre sulla nostra strada".
Un libro interessante, di facile lettura, che però presenta molte analogie con gli altri due romanzi di 'narrativa per ragazzi' che hanno anticipato negli anni '90 l'exploit di vendite de L'ombra del vento che tanta fama avrebbe portato al suo autore, lo spagnolo Carlos Ruiz Zafón.

mercoledì 27 luglio 2011

"Trilogia della città di K." di Agota Kristof

Per ricordare la scrittrice ungherese Agota Kristof, scomparsa oggi, all'età di 76 anni, di seguito la recensione della sua opera di maggiore successo "Trilogia della città di K."
http://www.box.net/shared/rc5k992346p9zpjrzfsh

"Trilogia della città di K." è uno di quei libri che piomba dentro l’anima come un macigno, di quelli che difficilmente si dimenticano. È il trionfo della mistificazione della realtà e di quella che noi crediamo sia la verità. ‘Le ferite fisiche non hanno importanza quando le ricevo. Ma se dovessi infliggerne una, diventerebbe un altro tipo di ferita per me, e non potrei sopportarla

"Cosa tiene accese le stelle" di Mario Calabresi

In tempi di crisi.. economica, sociale, di valori in cui le parole smarrimento, sfiducia, sconforto hanno usurpato il poste di altre più feconde quali: fiducia, coraggio, volontà un giornalista, Mario Calabresi, direttore de 'La Stampa' si interroga sul presente, sulle risposte da dare ai giovani e meno giovani che hanno perso la bussola, incerti sul presente, frodati del futuro. Lo fa volgendo lo sguardo al passato, ad anni in cui di certo le cose non andavano meglio di oggi ma la gente era attraversata dalla voglia di fare, fare qualcosa, semplicemente provare, credere nella possibilità di stare meglio, perchè no anche di realizzare un sogno. Dal passato e da un presente attivo fatto di piccole storie e di gesti straordinari l'occasione per condividere buoni propositi: smettere di lamentarsi, smettere di credere nel fatalismo, smettere di guardare a quanti stanno meglio di noi magari senza merito e rimboccarsi le maniche, lasciarsi travolgere dalla volontà, da un pizzico di entusiasmo, fare delle proprie passioni il punto di forza della propria esistenza perchè "se ci si frena, allora si smette di vivere, ci si chieude in difesa. Non eisstono i momenti giusti, esiste la vita, e questa è sempre qui e adesso".
Impossibile non lasciarsi prendere dalle storie che racconta Calabresi né dal suo modo di farlo. Non vi è casualità nella scelta delle storie né dei protagonisti: dal medico di fama internazionale alla ragazzina figlia di immigrati ("La vita è questione di volontà, se uno non vuole non fa. Io non voglio proprio accontentarmi, voglio poter scegliere, voglio provare a puntare in alto e a conquistarmi la mia libertà", 'Amal Sadki'), dal giovane laureato che ha sfondato in America al cantautore di successo ("credo nella capacità degli individui di fare la, differenza, e sono convinto che l'entusiasmo sia una delle virtù migliori", Lorenzo Cherubini 'Jovanotti'), in tutti c'è una parola giusta tesa a smuovere le coscienze, a far riflettere, a istigare un moto di rivalsa: "dobbiamo ricominciare a guardare in direzione delle stelle".

martedì 26 luglio 2011

"La trentenne" di Honoré de Balzac

"Il silenzio diventa più pericoloso della parola, poiché trasmette agli occhi tutta la potenza infinita dei cieli che vi si riflettono. Se appena si apre bocca, la minima parola si carica di un potere irresistibile".
Straordinario romanzo di Balzac, 'La trentenne' racconta la vita tormentata della bella Julie d'Aiglemont, dall'alba luminosa della sua adolescenza rapita dalla bellezza di un militare che il padre le sconsiglia di sposare alla maturità trascorsa al fianco della figlia minore, la preferita, in cui rivede impotente tutte le debolezze dell'animo umano che avevano destinato lei, bellezza innocente a desiderare la felicità senza mai provarla davvero, né al fianco dell'uomo che aveva sposato, né di chi l'aveva amata senza nulla pretendere giungendo a sacrificarsi per lei, né in chi l'aveva corrotta con la passione spingendola poi a torturarsi, vittima dei rimorsi, per gli orrori della sua irresponsabilità. A pagarne gli errori la figlia maggiore, Hélène, tanto riservata, giudiziosa quanto decisa, costretta quasi a fuggire dall'opprimente egoistica tutela materna. Passione e ragione, dovere e colpa da espiare, tutto celato dietro il viso bello e la voce angelica di una donna unica, responsabile della sua felicità come della sua infelicità. Nessuno come Balzac riesce a entrare nella pische di un personaggio, espondendolo al giudizio del lettore.

lunedì 25 luglio 2011

"Tutte le ragazze lo sanno" di Winifred Wolfe

Fine anni '50. Meg Wheeler, una bella ragazza di provincia sbarca a Manhattan, New York; il suo sogno: vivere l'indipendenza, trovare un buon lavoro e benchè non sia il suo primo obiettivo, prender marito. Ma a dispetto della sua bella parlantina Meg non è ancora conscia dell'effetto del suo aspetto, decisamente avvenente, sui maschi e si ritrova spesso costretta a contenere quando non rifuggire le avances di datori di lavoro, amici e conoscenti. E tirarsi d'impiccio da disastrosose avventure che pare finiscano per coinvolgerla suo malgrado, per fortuna ci sono le amiche e Miles Doughton metà burbera della Doughton & Doughton, società di ricerche di mercato per cui Meg lavora. L'altra metà è rappresentata da Evan, fratello di Miles e dongiovanni incallito di cui Meg è innamorata e che spera di condurre all'altare. Come? Rendendolo soggetto principe di una ricerca di mercato di cui la merce in vendita risulta assai particolare: lei, Meg. Per farsi scegliere da Evan lo stesso Miles studierà le amicizie femminili di Evan rovesciandone attitudini e qualità su Meg. Il risultato un guazzabuglio che manderà in brodo di giuggiole Evan ma infelice Meg, per nulla fiera del suo progetto. Decisa ad affidarsi all'inuito Meg capirà infine di essere innamorata, da tempo, dell'unico uomo a cui non aveva mai pensato..
Ironico, dirompente, sofisticato, chiaro esempio di letteratura femminile americana degli anni '50. Brillante ritratto della società del tempo. Una narrazione che risulta intelligente e spassosa pur rapportata ai nostri giorni, con surreali ma sagaci perle di saggezza:
"Dimostra a un uomo che non sei abituata a grandi cose, e penserà che tu non sia una gran cosa"
Nel '58 dal romanzo venne tratto in film di grande successo con David Niven e Sherley McLaine nei panni di Miles Doughton e Meg Weelher. Una commedia divertentissima, purtroppo non disponibile in Italia in dvd.

domenica 24 luglio 2011

"Vendetta" di Marie Corelli

"..mi resi conto che giacevo supino: il divano doveva essere molto duro! Perchè mi avevano tolto i cuscini da sotto la testa? Una sensazione di pizzicore mi attraversò le vene; sentivo le mani strane: erano calde e il mio battito era forte, anche se iurregolare. Ma che cos'era che mi impediva di respirare? Aria, aria! Ho bisogno d'aria! Stesi le braccia e.. orrore! Urtai qualcosa di duro sopra di me. la verità mi colpì come un fulmine. Ero stato sepolto.. sepolto vivo! La prigione di legno che mi rinchiudeva era una bara!"
Napoli, 1884. La città è in preda al colera. Tra le tante vittime, il giovane conte Fabio Romani. Buono, caritatevole, morigerato, onesto e sempre prodigo verso tutti. Il suo gesto di carità verso un ragazzo del popolo svenuto sul limitare della sua proprietà lo ha condannato a condividerne la malattia e la morte.
Ma è davvero così?
Pare di no, la sua è forse una morte apparente. Risvegliarsi sepolto vivo e trovarsi confinato al buio nella diroccata cripta di famiglia lo condanna ad uno shock inenarrabile.. nulla a fronte del doloroso tradimento che scopre nella sua stessa casa dove in stracci e stravolto giunge dopo poco. La bellissima e angelica moglie Nina langue sensuale tra le braccia di Guido Ferrari fin lì creduto da Fabio il suo più caro amico. Immediata si fa strada nell'uomo il proposito di vendicarsi. I capelli imbiancati per le ore di tormento appena vissute ed un viso distorto da smorfie e patimenti riflesso del suo animo devastato, l'inaspettato tesoro di un brigante rinvenuto in una vecchia bara nella cripta di famiglia e le parole della gente del popolo in cui si imbatte per strada latrici di passioni che corrompono menti e corpi all'origine delle peggiori azioni lo convincono ad agire con calma perché "la vendetta deve svilupparsi nel calore intenso della furia profonda, finché non è matura; consumata in fretta, prima del tempo, è come la frutta acerba, aspra e ingrata al palato".
Così in fuga da Napoli, lontano dalle voci che lo istigano a farsi giustizia -'andate e uccidetela'- il nobile vi farà ritorno quando avrà messo a punto il suo piano di vendetta, vestito i panni del nobile e ricchissimo conte Cesare Oliva e modificato il suo aspetto. Guido Ferrari e Nina si contenderanno le sue attenzioni invischiandosi in un triangolo di amore e gelosia che produrrà i suoi effetti. Il redivivo Fabio Romani dovrà imporsi di trattenere odio e rabbia, vedrà cadere vittima del suo piano diabolico anime innocenti -come la figlioletta Stella- ma a dispetto del tradimento, della decadenza della moralità, del trionfo dell'ingiustizia e dell'abiezione più sordida conoscerà brava gente, su tutti il fidato servo Vincenzo e il marinario Andrea, avrà occasione di fare del bene e leggerà negli occhi di una donna la vera onestà e l'amore.
Regina del tardo gotico inglese, Marie Corelli ha alimentato da sola il suo mito infiocchettando di bugie la sua stessa biografia, ma al contempo ha saputo intuire i gusti del pubblico pensando a storiacce di affanni, patimenti, passioni e vendette che sentivano vicine, imbastendo il tutto in ambientazioni popolari e brillanti di nobili affettati e viziosi vogliosi di denaro e relazioni improprie, va da sé che il riferimento agli 'incontri galanti' si arresta sul limitare della camera da letto, ovvero il sesso esplicito resta latente ma non i particolari truculenti, i duelli, le passeggiate tra tombe e corpi disseppeliti. Ancora l'autrice bacchetta la corruzione dei costumi del suo tempo, la violenza delle passioni che divampano e trascinano gli impulsi umani allo stato di puro istinto animalesco, il tutto con un linguaggio semplice, una narrazione che incede tanto per le descrizioni geografiche che per le caratteristiche caratteriali attruibuite agli italiani a stereotipi e pregiudizi. Tutto per far presa, sensazione, per inchiodare il lettore a pubblicazioni che hanno reso alla Corelli il titolo di scrittrice di best-sellers rendendola fiera tanto dei suoi lettori comuni quanto del pubblico plauso della regina Vittoria, del primo ministro Gladstone e del giovane Joyce e pazienza se i critici la bistrattavano.

sabato 23 luglio 2011

"L'ombra dell'ultima rosa" di Wolfram Fleischhauer

"Il tango nasce dalla disperazione e finisce nella disperazione. E' il prepararsi per qualcosa che non accadrà mai, il ricordo di qualcosa che non è mai accaduto".
Disperazione.. è lo stato in cui sprofonda la giovane Giulietta all'alba del giorno peggiore della sua vita, quello dell'abbandono di Damian, il bellissimo ballerino di tango che l'ha stregata in tre settimane, regalandole l'amore, insegnandole la passione, serrandola in un rapporto totalizzante. Un incontro fortuito, il linguaggio comune della danza e poi il distacco improvviso, la fuga da Berlino dopo l'incredibile aggressione al padre.
Cosa è accaduto davvero nel suo appartamento? Cosa ha sconvolto Damian? Cosa ha fatto suo padre per provocarlo?
Decisa a venire a capo di una storia che rischia di schiacciarla al punto da compromettere i suoi sogni di ballerina e la sua stessa vita Giulietta parte, destinazione Buenos Aires. Amore, odio, folle determinazione a capire cosa spinge Damian a fare il vuoto intorno a sé, a distruggere, destabilizzare, travolgere e lasciarsi travolgere, prima di ricominciare. Lui, detto El loco, sembra aver lasciato mille segni di sé in città, nei locali in cui si balla il tango, tra la gente che l'ha conosciuto da ragazzino, nella madre che lo cerca bisognosa di risposte, come tanti, come tutti.
Cosa è accaduto nel ragazzino di sedici anni che ha lasciato la scuola e la famiglia per ricominciare altrove? Quale segreto nasconde il suo essere figlio adottivo? E quale straordinaria alchimia produce il suo modo di danzare? Possibile che il suo non sia solo un ballo, possibile che ogni figura celi una parola, ogni ballo un messaggio, per Giulietta senza apparente senso?
E ancora chi la segue a Buenos Aires? Perchè suo padre le è corso dietro? Chi o cosa vuole impedirle di scoprire? E chi fine ha fatto Damian? Perchè ricomparire un attimo prima della sua decisione di tornare a Berlino, ridotto l'ombra di stesso, il suo nome legato a un passato che ha sconvolto l'Argentina intera? Lui.. i desaparecidos.. gli orrori della dittatura.. il silenzio complice delle democrazie occidentali.. il sacrificio di migliaia di innocenti.. di più l'aiuto concreto di alcuni agenti infiltrati.
Solo un ultima notte insieme quella di Damian e Giulietta prima di un incidente che condanna la loro storia d'amore tormentata all'oblio e Giulietta al ritorno in patria, alla difficile convivenza con un padre che si sospetta, si teme, si respinge e alla danza, al contattato spurio fra classica e tango, pochi minuti di indicibile struggimento che raccontano con musica e passi lo strazio di un popolo costretto al silenzio. Ma non si può ignorare il passato.. la storia e i suoi orrori, né ricacciare indietro i mostri che ne furono protagonisti, nemmeno quando hanno il volto delle persone che dovrebbero proteggerci. Così la verità su Damian, su suo padre, sulle atrocità commesse spingono Giulietta a fronteggiare la realtà, su un palco, sulle note di un tango che brucia l'anima condannandola ad un dolore eterno e regalandole al contempo la gioia più inaspettata.. tre minuti con la realtà..
"ma vedrai che rinascerò nell'anno 3001, con i ragazzi e le ragazze che non sono stati e che saranno, e benediranno la terra, la nostra terra e, te lo giuro, che da Buenos Aires noi ricominceremo da capo".
Un romanzo coinvolgente quello di Fleischhauer, capace di veicolare il tema dei desaparecidos, vittime del regime militare in Argentina dal 1976 al 1983, attraverso il tango, la sua storia, le sue origini, le sue figure, la sua musica, e personaggi e trame di forte impatto emotivo.
La forza dell'autore tedesco sta nel legare tutto insieme in un che di credibile e accattivante, facendo ricorso ad una scrittura semplice anche quando la narrativa cede il passo alla cronaca, alla storia del nostro recente e drammatico passanto. Ogni libro di Fleischhauer é la perfetta armonia di forma e immaginazione. (Unico neo: il titolo in italiano.. totalmente fuorviante!)

venerdì 22 luglio 2011

"Ricordati di me" di Lesley Pearse

Insondabili le ragioni della Mondadori di piazzare questo libro nella collana 'bestsellers emozioni' o quanto meno discutibile l'ipotesi di circoscriverne la proposta ad una categoria di lettori.
'Ricordati di me' dell'inglese Lesley Pearse racconta la vera storia di una giovane donna inglese, tale Mary Broant (Bryant). Nel 1786, arrestata per il furto di un cappellino, Mary viene condannata all'impiccagione. La pena venne commutata in sette anni di deportazione nelle nuove terre d'Australia, ma dalla prima colonia penale ivi fondata, Botany Bay, la stessa fuggì miracolosamente.
Quello della Pearse è il racconto delle avventure di Mary, una ragazzina all'apparenza semplice, quasi insignificante, dotata di una straordinaria determinazione a vivere, riacquistare la libertà e il diritto a tornare nella sua amata Cornovaglia, che per ostinazione e capriccio aveva deciso di lasciare. Di mezzo, nel lungo ma accattivante racconto della Pearse, c'è la descrizione della società inglese del tempo, decisa a liberarsi del peso degli indesiderati, ovvero gli umili, gli ultimi, i dimenticati nelle prigioni di stato, in buona parte prostitute e ladri d'occasione spinti al furto dalla fame, dall'assenza di prospettive. Indipendenti gli stati americani e fallito il tentativo di usare zone del continente africano come colonie penali, l'Australia appare la nuova occasione per gli inglesi e lì, dopo un viaggio disumano, giunge Mary assieme ad un altissimo carico di disperati. Sarà solo grazie ad una mente vivace, ad una buona dose di adattamento, al sacrificio e ad una folle ostinazione che Mary riuscirà a sopravvivere e persino amare, mettere al mondo due figli e proprio in funzione loro decidere di tentare l'impossibile: fuggire a bordo di una piccola imbarcazione.
Ma il tradimento di un uomo, dello stesso uomo a cui aveva affidato se stessa la riconsegna agli inglesi, decisi a riportarla a Londra in condizioni ancora più atroci, devastanti al punto di costarle la morte degli amati figlioletti e per la prima volta, la speranza nel futuro.
Ancora una volta sarà l'amore per se stessa e l'aiuto di chi non ha potuto che amarla da lontano, il capitano Tench costretto in un angolo dalle convenzioni sociali, a ridarle fiducia, a farla sopravvivere alla prigione di Newgate, a valerle il consenso della gente comune, conquistata dalla sua storia e dai suoi patimenti, l'assistenza legale di James Boswell (autore di 'Vita di Samuel Johnson') e infine la grazia e la prospettiva di una nuova vita.
Decisa, prodiga nei confronti dei suoi compagni di sventura, coraggiosa al limite della pazzia la storia di Mary Broad lascia un segno nel lettore conquistato dalla straordinarietà di viaggi per mare, di incontri con popoli e terre sconosciute, con l'esperienza difficilissima del sorgere di una nuova colonia eppur al tempo stesso colpito dal desiderio quasi comune di una donna di essere felice, riconosciuta come persona, semplicemente amata.
La scrittura della Pearse riesce nel tentativo di trasmettere sentimenti ed emozioni forti, coinvolge per le atmosfere romanzesche che affrescono la narrazione a volte spenta o rigida delle biografie.

giovedì 21 luglio 2011

"Il signor Cevdet e i suoi figli" di Orhan Pamuk

"Senti -l'interruppe l'amico. Un secondo troppo tardi si rese conto di non poter trattenre l'ira- Tu non hai nessun diritto di essere infelice. Non hai diritto, capito?"
Quasi 700 pagine fitte fitte per raccontare la storia di una famiglia turca nel corso del '900, tre generazioni, 70 anni di storia di un paese perennemente in bilico tra tradizione e modernità, tra oriente e occidente, repressione e libertà. Di mezzo le storie minute, singole, di uomini e donne, proprio come la Turchia, protese nel tentativo spesso non riuscito di trovare una 'identità', un senso da dare alla propria vita, l'occasione di emendare le origini umili -è il caso del capostipite della famiglia, Cevdet da umile bottegaio a fiorente commerciante- o esercitare un ruolo cardine nella società in trasformazione -si veda Refik e i suoi amici Muhittin e Omer.
In quella che sarà la sua opera prima, il giovane Pamuk -il romanzo è dei primi anni '70- mette in luce la particolarità della sua narrativa: pingue, a tratti ornamentale, densa di particolari atti a ricreare nei minimi dettagli le atmosfere casalinghe, le tradizioni, le didascalie di una società in cui ognuno pare ricoprire ruoli prestabiliti e soprattutto le ambasce di una mente tormentata, di una coscienza che reclama soddisfazione a fronte degli orrori del quotidiano, gli accomodamenti con un cuore in tumulto.
Il romanzo sembra stretto in un eterno ripiegarsi su se stesso, in una maniacale ricerca di senso per la scelta signola di ogni personaggio... eppure a dispetto di tutto lascia nel lettore un senso di pienezza conciliatoria.

lunedì 18 luglio 2011

"Le due vite di Elsa" di Rita Charbonnier

"Il villino dei Puglielli.. entrando si aveva l'impressione di venirsi a trovare in una cripta. Stagnava ovunque un amaro odore di rinchiuso.." così la giovane Elsa, così il suo corpo, la sua mente, la sua anima imbrigliata in formalismi familiari, obblighi, veti, tutto per non destare scandalo, per non turbare l'opinione pubblica -imbolsiti uomini di regime, nobilucci intarcapecoriti, esponenti di una borghesia tacitata dall'ascesa di uomini senza merito. Ma Elsa ha vent'anni, ha mille dubbi sulla sua famiglia, o almeno quel che resta della sua famiglia: la zia Olga poco più che un cerbero rinsecchito, il fratello Michele preso dai suoi studi, dagli amici, dal bisogno di capire il suo tempo e il padre Giacinto, assente, inerme, una figura sullo sfondo. Ma qual è la colpa di Elsa sin da piccola tacciata di diversità? Una certa eccitabilità, irrequietezza, incostanza. Possibile che sia tutto da ascrivere alla sua immaginazione? A quei sogni che la spossano, che la portano lontano e che per qualche momento le regalano una vita diversa o almeno l'illusione di una vita altra, la vita forse che vorrebbe vivere, libera, determinata, finanche spregiudicata. La vita di un'eroina moderna magari, quell'Anita Garibaldi che il regime fascista si appresta a celebrare e che la stessa, piccola Elsa si accinge ad interpretare a teatro, in un farzesco, sfibrante ultimo tentativo di riconsegnarla alla normalità, privandola se mai di quella balbuzie che la attanaglia sempre più di frequente. Anita e Elsa, sogno e realtà. L'idea folle di una reincarnazione. Un sogno forzato ad occhi aperti nella ricerca di una vita mondata da segreti che pesano come macigni perché gravano sul cuore di tanti, troppi, su quelli che dovrebbero proteggerla, volerle bene, amarla a prescindere da ogni giudizio e pregiudizio, amarla come merita una ragazza di vent'anni, il cui unico segreto da celare dovrebbe essere quello di un cuore che batte per l'innamorato. Come Anita la piccola Elsa sarà coraggiosa perchè capace di cogliere l'aiuto delle scienze moderne, su tutte la psichiatria, per vedere dentro di sé, guardare in fondo all'abisso dell'animo malato e ghermire la lievità della libertà, accettare il suo essere in divenire, un potenziale da costruire giorno dopo giorno, in nulla somigliante a modelli imposti da altri -familiari, società- ma affine al suo spirito. Così in una Roma in preda al furore dell'ascesa del regime fascista scorre la storia della rinascita di una ragazza finalmente libera dal suo doppio, libera di amare ed essere amata.. follemente, ingenuamente, con totale devozione e sacrificio così come era stato tra Anita e Giuseppe Garibaldi.
Un romanzo emozionate quello della Charbonnier, capace di toccare l'anima con un personaggio -quello di Elsa- triste, dolce e al tempo stesso consapevole e vivace. Una scrittura lieve, minuta, attenta in ogni dettaglio capace di spaziare dalle atmosfere lievi e trepidanti di un teatro a quelle cupe, dolorose, estreme di una clinica per malati mentali. Di più, l'autrice ha saputo dare il giusto peso all'alternarsi della doppia vita di Elsa e Anita consegnandoci sprazzi di un personaggio storico spesso relegato al ruolo di comprimario, portando il lettore al fulcro di una storia d'amore d'altri tempi, impossibile da isolare dal contesto storico.. lo stesso che in questi mesi festeggiamo, spesso con poco entusiasmo: l'unità d'Italia, unità per cui uomini e donne, donne speciali come Anita persero la vita. Un sogno lungo anni.. e anni alfine concretizzato.

domenica 17 luglio 2011

"L'allieva" di Alessia Gazzola

Se cercate una lettura da spiaggia.. il libro d'esordio della Gazzola fa al caso vostro. La storia è di quelle semplici, un giallo esile e un pò raffazzonato, di quelli con il finale che scontenta un pò tutti ma si tiene sù per la scrittura diretta, tipicamente da sceneggiatura, molto per immagini, evocativa quasi per il continuo rimando ad una attualità di film, musiche, persino loghi commerciali che danno l'idea di una quotidiniatà abitata da tutti. E poi c'è lei, la giovane protagonista, Alice Allevi specializzanda in medicina legale, un pò maldestra, un pò cocciuta, una vera outsider in un contesto lavorativo che la appassiona ma in cui non è apprezzata. Si lascerà coinvolgere in un'indagine che non dovrebbe riguardarla mentre vive un amore da favola che la costringerà a fare i conti con se stessa. Un romanzo apripista di una serie già proiettata -stando agli editori- a rubare la scena alla Cornwell (per inciso la Gazzola, con tutto l'affetto che si riserva agli esordienti, dovrà mangiarne di pane duro per rendere la sua Alice tosta e credibile quanto la Kay Scarpetta) o quanto meno a sfondare in tv, sicuramente leggero, ironico, accattivante ma nulla più. Buono per lo svago di un paio d'ore!

sabato 16 luglio 2011

"Storia della mia gente" di Edoardo Nesi

Fresco di Premio Strega -visto il recente passato, egregiamente meritato- il libro di Nesi mi è subito entrato dentro, e l'impressione è che ci resterà a lungo. E' un libro autobiografico, dentro c'è la vita di un ragazzo privilegiato di provincia che assiste impotente alla fine di una stagione di lavoro e successo per la piccola industria italiana e forse, lungimirante rispetto ad altri, vende l'azienda di famiglia per dedicarsi alla passione di sempre: la scrittura. Di mezzo, la propria vita, gli studi, la famiglia, quel pezzo di vita trascorso in fabbrica, l'amore per il lavoro, per i ritmi di produzione e per la creatività che consente sempre di innovare il prodotto ma anche l'inarrestabile crisi economica frutto della globalizzazione e di una cieca politica che non vede oltre il suo naso, e che condanna la generazione di trenta-quarantenni a sentirsi in colpa e i più giovani ad un futuro senza reali prospettive. Intorno l'amore a tratti rabbioso per una provincia -quella di Prato e del distretto del tessile- lasciata sola ad arrangiarsi, colonizzata da stranieri che in barba alla legge, marchiano con il made in Italy pezzaglie che non hanno valore, cuore, passione nella lavorazione negando diritti umani e calpestando ogni tutela del lavoratore. Ma in Nesi c'è anche tanto amore per la lettura, per la buona musica capace come capita spesso di farsi interprete dei nostri pensieri, dei nostri stati d'animo: "quanto sia disperatamente vero che un romanzo può essere molto più d'un libro e diventare così reale da tormentarti ogni giorno".
Capita proprio così con la scrittura di Nesi e con una storia così vera da sembrare cronaca, da non sfigurare al cospetto di un saggio d'economia, diretto e doloroso come un pugno allo stomaco di quanti si rifiutano di vedere il danno fatto al paese 'Italia', alla sua gente, ai lavoratori e a quegli imprenditori.. piccoli imprenditori che tali non sono stati mai: "artigiani, straordinari e fragilissimi artigiani", figli di un tempo -il dopoguerra- e di un particolare humus sociale, che non tornerà più. Eppure è bello condividere il sogno di Nesi: "sarebbe bellissimo se oggi potesse essere la cultura a salvare l'Italia". Ma per chi ci governa la cultura è acqua sporca. E quell'acqua sporca ha infangato i nostri sogni.

"Le brave ragazze non leggono romanzi" di Francesca Serra

"Dal 1930 in America era proibita l'esportazione di 'qualsiasi libro osceno' da qualsiasi paese straniero; la definizione giuridica di osceno era la seguente: 'tendente a suscitare impulsi sessuali o a indurre pensieri lubrichi esessualemnte impuri' ".
Un pamphlet ironico quello della Serra che ammonisce sui danni potenziali della lettura sul gentil sesso, nel corso dei secoli, più specificatamente, a partire dal '700, quando il 'romanzo' è andato affermandosi come genere quanto a 'richiestissimo articolo di intrattenimento'. Per Rousseau la lettura corrompeva le menti, eccitava gli animi e non solo.. era capace di impressionare al punto di far peccare le donne lasciando che usasserro e abussasero del proprio stesso corpo.. fino a farle ammalare, dando il là a vere e proprie 'leggende popolari' radicate al punto da entrare nel quotidiano delle donne e di cui troviamo segno persino nella letturatura scientifica del '900. Vien quasi da abbozzare un sorriso se non fosse che a spaventare da sempre gli uomini e in genere chi ha potere e vuole esercitarlo è la parola e tramite essa l'immaginazione ,impossibile da ingabbiare.
Ps. Leggo romanzi.. dunque sono una 'cattiva ragazza'!

mercoledì 13 luglio 2011

"Il palazzo della mezzanotte" di Carlos Ruiz Zafon

Orfanotrofio di St patrick's. Calcutta. 1932.
Un gruppo di ragazzi compie sedici anni. L'età segna il momento in cui tutti dovranno lasciare la scuola, iniziare il difficile cammino della vita.
Sono Isobel, l'unica ragazza del gruppo, sogni di attrice in tasca e una folle ostinazione nell'approcciarsi alle cose; Roshan, un ex ladruncolo cresciuto per le strade della città veloce più di una scheggia; Siraj, una memoria enciclpedica e una passione per le storie di fantasmi; Michael, silenzioso e straordinario disegnatore; Seth, studioso infaticabile, astronomo in erba; Ben, mente geniale, abile narratore, eccentrica guida del gruppo e Ian, un solo sogno da realizzare a tutti i costi: diventare medico.
I sette ragazzi sono soliti riunirsi in un vecchio palazzo fatiscente, nei pressi dell'orfanotrofio. Per tetto il cielo, obiettivo: aiutarsi l'un l'altro. Per farlo hanno messo su un club segreto: la Chowbar Society. Prossima allo scoglimento la società si vede pronta ad accogliere un nuovo membro: una figura minuta e silenziosa che pure emana un fascino discreto. Si chiama Sheera e per tramite della nonna racconta una storia incredibile: di un passato oscuro e diabolico, di ferro e fiamme, un disastro infernale in una stazione, un treno carico di anime innocenti immolate da una mente malata decisa a vendicarsi ad ogni costo di chi non ha che una colpa: esser sfuggiti alla mattanza di una notte, sopravvissuti, testimoni di un amore che per pochi anni aveva vinto la follia di un uomo perduto.
Il destino dei sette ragazzi decisi a far fronte comune per vincere il mostro sembra segnato ma a dispetto dell'orrore più cieco, sotto il cielo di ghiaccio di una Calcutta innevata, il miracolo dell'amore si compie, permettendo di vincere il lato oscuro dell'animo umano.
"Dovevamo ancora imparare che il Diavolo ha creato la gioventù per farci commettere errori e Dio ha istituito la Maturità e la vecchiaia per consentirci di pagarne il prezzo".

domenica 10 luglio 2011

"Gli occhi di Venezia" di Alessandro Barbero

La battaglia di Lepanto è un ricordo ancora vivo nei veneziani così come l'infuriare del morbo della peste che travolse la popolazione a metà degli anni '70 del XVI secolo eppure la città è ancora attraversata da malumori, difficoltà, patimenti. Intorno alle famiglie nobili si affastella la povera gente intenta ad arrabattarsi come può per portare un tozzo di pane a casa e in più il destino può giocare con la vita di uomini e donne riservando tormenti, lutti, infinite peregrinazioni. E' quello che capita a due giovanissimi sposi: Bianca e Michele, divisi da una serie di atroci conseguenze ingenerate dal sopruso di un nobile. Costretto a imbarcarsi come rematore su una galera Michele e attraversare mari resi perigliosi da attacchi di navi corsare, fallaci tempeste e controlli militari, ridotta ad umilissimi lavori e finanche spinta a mendicare quando non sollecitata alla prostituzione Bianca, i due sapranno reggere ai drammi quotidiani e superare i mille e più ostacoli frapposti alla loro felicità fidando nella speranza, nel loro amore e nel provvidenziale aiuto di una donna: Clarice, tanto astuta e determinata da piegare il Consiglio dei Dieci della città alle sue ragioni, coincidenti per una volta con il trionfo della verità e la supremazia della giustizia.
Romanzo storico, avvincente avventura giocata sui mari del Mediterraneo al cospetto di culture diverse, intrigante e al tempo stesso innocente storia d'amor coniugale, convincente affresco della società veneziana del tempo -siamo sul finire del XVI secolo- scrutata nel difficile scorrere del tempo quotidiano; inquietante ritratto di un governo spesso retto da uomini corrotti e pavidi, 'Gli occhi di Venezia' si legge con piacere, spinti dallo scorrere in parallelo delle vite dei due giovani protagonisti -Bianca e Michele- e da un nugolo di piccoli personaggi che vi ruotano intorno, ognuno con il suo carico di vissuto. Il romanzo cede nel finale.. forzatamente affrettato in un gioco ad incastri che appare sin troppo chiaro al lettore, se mai rapito dal coraggio e dalla forza dei due sposi destinati a veder realizzato il sogno di libertà e amore.

sabato 9 luglio 2011

"La fattoria dei gelsomini" di Elizabeth von Arnim

Shillerton. Il fine settimana nella dimora di Lady Daisy Midhurst è di solito oggetto di conversazione negli ambienti che contano, esservi ammessi è un privilegio concesso a pochi, i nessuno esclusi ne parlano con invidia eppure poco avrebbero da desiderare di ore trascorse tutt'altro che fra amenità e piacevoli conversazioni: sarà stato il caldo insolito quel 'fine settimana prima di Pentecoste' o l'insolita incuria nei pasti tutti rigorosamente inondati di piatti all'uva spina o alcuni nuovi invitati ma tra fughe improvvise, mancamenti e lunghissime partite a scacchi Lady Daisy e sua figlia Terry non avrebbero dimenticato quei giorni.. infausti per una frase rivelatrice di un segreto taciuto a lungo, troppo a lungo, rivelatore di un tradimento impensabile, insolita passione che mette a nudo la fallacità umana.. a restarne invischiata proprio Daisy, così irreprensebile, così al di sopra di tutto e tutti da tentare la fuga in Provenza salvo vedersi raggiungere anche lì dai problemi sebbene abbiano il volto e l'insolita cialtroneria di una teatrante imbellettata.. così lo scandalo e il ricatto paventati si trasformano in uno spauracchio da poco.. complice una morte improvvisa e una rendita piovuta dal cielo.
Una scrittura vivace, ironica, graffiante che tratteggia la società vittoriana al suo declino e i suoi più strambi protagonisti con un gusto e una grazia da grande narratrice quale la von Arnim conferma d'essere in questo suo scritto maturo. Le prime pagine in cui l'autrice descrive tutti gli ospiti di Lady Midhurst alle prese con la nauseante uva spina valgono tutto il romanzo.. e che dire della gioiosa quanto improbabile Mrs De Lacy.. che così disserta sull'amore: "L'amore. Anche attorno a quello si faceva un gran chiasso per niente. Presumeva di averne avuto nella stessa quantità di tutte le altre donne, ma non si sarebbe sorpresa di non averne mai avuto. Non l'amore. Non quello che tutti chiamavano amore. Per quanto all'inizio uno potesse esserne compiaciuto, illudersi di aver finalmente messo le mani sul vero amore, questo non si risolveva ma in quacosa di diverso di un ennesimo marito".