sabato 27 novembre 2010

"L'omonimo" di Jhumpa Lahiri

"L'omonimo" di Jhumpa Lahiri è uno di quei libri che si leggono con scorrevolezza, piacere e un pizzico di sgomento scivolando verso un finale che aspettiamo catartico e che tiene desta l'attenzione, rivelandosi degno dell'intero tessuto narrativo articolato dell'autrice.
Cosa nasconde un nome? Basta riandare con la memoria a Shakespeare e al suo Romeo e Giulietta per immaginarlo. Nel caso della Lahiri il nome nasconde un segreto di famiglia, un evento che avrebbe drammaticamente modificato la vita di tante persone, alcune delle quali, come lo stesso protagonista Gogol, non sarebbero mai nate.
"Essere salvato sal treno distrutto è stato il primo miracolo della sua vita. Ma qui, adesso, adagiato tra le sue braccia, con quel peso da neinte che però cambia tutto, c'è il secondo".

Per leggere interamente la recensione n.270 cliccate qui: http://www.box.net/shared/kihtgaugpr

lunedì 22 novembre 2010

"L'ultima riga delle favole" di Massimo Gramellini

Alla sua prima prova come romanziere il bravo vicedirettore de 'La Stampa', Massimo Gramellini, si cimenta con una favola moderna imbevenuta di new age e misticismo, che pure occhieggia alla psicoanalisi e alla filofofia. Insomma un mix riuscito di narrazione e frasi ad effetto per descrivere il cammino che ogni uomo/donna deve compiere per recuperare il controllo perso in una vita macchinosa, banale, fatta di compromessi, schiacciata dalle paure dei fallimenti, indagando alle origni dei conflitti interiori in un passato spesso corroso da incomprensioni e falsi problemi. Solo quando, come il protagonista Tomàs, si compie un viaggio simbolico alla scoperta di se stessi si è pronti a 'vivere' e affidarsi all'amore, l'unica forza positiva che regola il mondo.
Se il protagonista riesce a leggere l'ultima riga della favola -La Bella e la Bestia, superare la morte della madre e aprirsi con fiducia alla sua anima gemella- il lettore fatica a stare dietro alle strambe invenzioni letterarie dell'autore finendo per perdersi nel guazzabuglio onirico delle terme dell'anima. Tutt'al più mette da parte una serie interessante di parole buone per ogni occasione:
"..solo quando l'emozione si sublima in sentimento l'amore raggiunge il suo centro e l'uomo diventa invincibile"
"..per sapere se un sogno è giusto bisogna prima rinnegarlo, affinché la vita te lo restituisca per sempre con una rivelazione improvvisa"
"..se desideri una cosa e pensi veramente di meritartela, smetti di chiederti perchè gli altri non te la danno. Alzati e vai a prendertela"

sabato 20 novembre 2010

"Ho freddo" di Gianfranco Manfredi

"Aline e Valcour de Valmont erano arrivati a Cumberland da Londra nella primavera del 1795".
Due gemelli, due abili menti scientifiche, due giovani scampati agli orrori della rivoluzione francese ma non al crollo della propria famiglia, due sopravvissuti decisi a rifarsi una vita nel Nuovo Mondo salvo imbattersi nella diffidenza della gente di una piccola comunità nei pressi di Providence nel Rodhe Island, increduli nel saperli così indipendeti, per certi versi disinibiti, sfrontati, determinati a sfidare pregiudizi e sgretolare false leggende a partire da quella che vuole la loro casa infestata dai fantasmi dopo un orribile tragedia familiare.
Tutto può essere spiegato.
Ma allora cosa dire delle voci sui vampiri che attraversano le campagne del Rhode Island.. e come impedire a Valcour ed Aline di interessarsene se il padre e il nonno prima di loro avevano a lungo studiato il fenomeno per la casa reale francese, fino a restarne soggiogati, schiacciati?
E quale rapporto hanno con i casi di consunzione polmonare che fa vittime tra le giovani donne della regione e che spinge la gente sull'orlo dell'esaurimento, né placato né contenuto dalle costanti preghiere del giovane reverendo battista Jan Vos, incapace persino di lasciare che gli stessi cedano a sinistri esperimenti tollerati finanche dalle autorità cittadine: la profanazione dei cadaveri delle vittime.
Quale male oscuro attraversa i corpi e soprattutto le menti delle vittime.. spinte a vedere gli spiriti, a parlare con loro, a sentirsi già come morti viventi; la 'peste vampirica' può essere debellata davvero solo ricorrendo a macabri rituali di origine africana o la cura sta nell'inoculare nel malato un vaccino come pare un tale Jenner stia già facendo per il vaiolo? E ci sarà mai cura per combattere il male oscuro che si annida nei cuori umani?
Ragione e sentimento, cieca fede nella scienza, nella medicina, nel progresso, fautori di quello spirito illuminista deputato di lì a breve a pervadere il mondo rischiarando i ciechi antri dell'oscurantismo, Aline e Valcour riusciranno a dare un volto all'irrazionale, a dar credito alle richieste degli ammalati, spesso emarginati quando non vittime sacrificali, picconando le leggende, svelando i misteri più inaccessibili, sacrificando al contempo ideali, amicizia e amore.
"Cosa ne pensi?" mormorò Valcour inginocchiandosi accanto a sua sorella, protesa sulla bara.
"Non avverto il respiro.. e nessun battito cardiaco"
"Dunque è morta"
"Non è detto, valcour. Potrebbe essere caduta in catalessi. Dobbiamo aspettare"
"Chace e Slapes.. li hai visti?"
"Loro non c'entrano"
"Sì, invece. Ammettiamo pure che Livina possa rianimarsi. Credi che se si sollevasse a sedere nella bara, suo marito e suo padre l'accoglierebbero a braccia aperte? No, Aline. Non la vorrebbero neppure in casa"
"Ma noi siamo dei medici e abbiamo il dovere.."
"Di prolungare le sofferenze di questa disgraziata creatura? E quanto a lungo? Io credo che Livina sia morta, ma se così non fosse, non ha alcuna speranza di sopravvivere"
"Allora cosa intendi fare?"
Valcour aprì la sua borsa e ne cavò un martello e un grosso chiodo lungo trenta centimetri.
"Perchè ti sei portato dietro quegli attrezzi? mormorò Aline, sgomenta.
"Avevo previsto quanto sarebbe avvenuto" rispose lui, gelido. "Allontanati e non guardare".
"Non farlo, ti prego!"
"Siete in troppi a pregarmi oggi. E io non sono Dio"
Posò la punta del chiodo sul petto di Livina, all'altezza del cuore.
"Aspetta" esclamò Aline "Ha mosso un dito!"
"Io non ho visto nulla"
"Ti dico che s'è mossa! Non puoi, non devi... Valcour, noooo!"
Lui calò il martello e picchiò tre colpi secchi, spingendo il chiodo fino in fondo.
Un romanzo dalle ambientazioni gotiche, imbevuto di riflessioni filosofiche e teologiche, costruito su una conoscenza approfondita delle fonti, accuratissimo nell'ambientazione storica, preciso nei dettagli scientifici. Un romanzo che appassiona il lettore, trascinato nell'abisso della sofferenza, del sospetto inquietante del volto che assume il male salvo scoprire che spesso è solo dentro di noi.
Prossimamente il seguito: 'Tecniche di resurrezione'.

sabato 13 novembre 2010

"La sposa gentile" di Lia Levi

Amos Segre è un giovane banchiere ebreo. Il capodanno del '900 segna per lui uno spartiacque. E' ora di prendere impegni, di dar forma ai sogni: consolidare le sue fortune e metter su una famiglia patriarcale. Se il primo dei suoi obiettivi è già cosa fatta difficile si prefigura trovar moglie, pare che affidarsi alle buone conoscenze della sorella Anna possa ispirargli l'incontro con la bella Margherita e sistemar tutto eppure ad un passo dal fidanzamento che tutti danno già per scontato ecco che l'irrazionale prende forma nel corpo sinuoso, nel volto bellissimo, negli occhi vivaci, nella bocca sensuale di Teresa che Amos inizia a frequentare di nascosto fino a lasciarsi vincere dalla passione, giorno dopo giorno. Sarà lei la donna che Amos deciderà di amare, a dispetto della sua famiglia, della comunità ebraica che all'improvviso gli volta le spalle, perchè Teresa è una cristiana.
Lei, la sposa gentile, riuscirà però a trasformarsi nella donna che tutti avrebbero voluto vedere al fianco di Amos. Una sposa ebrea. L'unica capace di riunire la grande e numerosa famiglia Segre intorno a un tavolo per le feste relgiose, l'unica a sostenere tutti, l'unica a custodire gelosamente le tradizioni, lei che tutto si è lasciato alle spalle con l'unico proposito di amare incondizionatamente Amos, di farlo 'contento'. Per questo assorbire la fede del proprio sposo è cosa normale fino alla sua morte.
Allora "da quella sagoma che formava il suo corpo in movimento se n'era fuggita via l'anima. Non l'anima dei filosofi e degli uomini di fede ma la piccola anima, quella che dà un senso preciso alle umili cose di tutti i giorni, come lo stoppino a una candfela o la pila che permette di accendere una torcia".
Poi era arrivato il 1938, le leggi razziali e nulla era stato più come prima.

"Tu non c'eri" di Erri De Luca

Una manciata di pagine per un racconto che toglie il fiato proprio come in cima alla montagna che un figlio scala per ritrovare il padre perduto. Un ascolto forzato, imposto a se stesso, in cui figlio e padre si sfiorano, si riconoscono in quell'assenza imposta dalle scelte di una generazione rivoluzionaria che usava il noi per appartenenza a una causa politica, che credeva di cambiare il mondo salvo scavare il vuoto intorno, un vuoto di sentimenti, a volte di responsabilità, come di un padre che abbandona il figlio, lo tiene forzatamente, volutamente fuori dalla sua vita, lontano dal carcere per sopravvivere, a se stesso, al crollo delle illusioni perdute. Salvo ritrovarsi lì, su una montagna, a dispetto di una morte, pure quella solitaria, e servire, spiegare, perdonare quel "tu non c'eri" di un figlio con un annuncio di vita e un proposito deciso "gli sarò padre".
La scrittura di De Luca, splendidamente riconoscibile nel mare di parole banali della editoria italiana, riempie di significato ogni pagina scritta.

venerdì 12 novembre 2010

"Una vita tranquilla" regia di Claudio Cupellini.

Provincia tedesca. 'Da Rosario' è un piccolo albergo-ristorante gestito da un italiano perfettamente integrato nella comunità, Rosario appunto. Sposato, un figlio piccolo biondo e gentile, una professione apprezzata, la sua appare agli occhi di tutti una vita tranquilla.
Un giorno all'improvviso l'equilibrio perfetto della vita di Rosario si spezza. Mentre serve cinghiale e gamberi ad una tavolatava di commensali gaudenti Rosario guarda dalla finestra i volti di due giovani che hanno preso una camera da loro. Uno dei due ha un aspetto familiare. Un volto ricacciato indietro nel cuore, forzatamente dimenticato, il volto di un ragazzino divenuto orami grande, lo sguardo incerto di chi non sa chiedere ma è evidente che non ha mai dimenticato nè perdonato: Diego, suo figlio.
Perchè la vita tranquilla di Rosario è solo apparenza. Un tempo affiliato alla camorra l'uomo ha spacciato per vera la sua morte rifacendosi una vita all'estero, lasciandosi indietro, amici, famiglia, responsabilità e affetti.
Eppure quando Diego bussa alla sua porta Rosario spera solo di poter essere felice, ancora, magari stringendo a sè quel figlio perduto, ignaro che un meccanismo perverso di orrore, violenza e vendetta lo trascinerà indietro nel tempo, nel mondo fuggito, spingendolo a non fidarsi di nessuno, nemmeno di suo figlio, deciso a non lasciarsi strappare quella vita tranquilla che ora impone anche a Diego
"Domani mattina parti. Se tutto va bene, avrai una vita tranquilla".
Ma nei piani di Rosario qualcosa sfugge, l'imponderabile ambiguità del male trascina con sé Diego fino a tradire il padre. Finalmente nudi, scoperti nelle loro debolezze, padre e figlio si ritroveranno, per un istante, un solo momento salvo perdersi per sempre e imporre a Rosario di fuggire ancora, ripetere i gesti dell'abbondono per ricominciare altrove, aggrappato alla speranza di poter vivere 'una vita tranquilla'.
Un film durissimo, tragico, l'eterna lotta bene male che scivola in un confine labile, per certi versi il film svela l'illusione di quanti sperano di sfuggire ad un passato carico di orrore salvo apprendere che nel tentativo di imporre cambiamenti a se stessi la vita passa.
Intensa l'interpretazione di Toni Servillo.

mercoledì 10 novembre 2010

"La mamma dei carabinieri" di Alessio Puleo e Filippo Vitale

La "mamma dei carabinieri" è uno scricciolo di donna sulla novantina. La sua casa -una villetta in stile liberty- è di fronte all'abitazione di Paolo Borsellino. Da anni, giorno dopo giorno, la 'zia Mimma' come la chiamano tutti, si prende cura dei giovani carabinieri di scorta ai familiari di Borsellino. Fa appunto loro da mamma e loro ricambiano con affetto.
Uno di loro racconta la sua storia.
Quella di una bellissima ragazza costretta a rinunciare, ad un passo dalle nozze, al suo amore per un brigadiere dei carabinieri. Una ragazza coraggiosa Mimma, piegata dagli sguardi della 'gente', dal dovere familiare, dai capricci e gelosie di un vigliacco, spinta a vivere una vita di dolore e sacrificio, ancorata ai ricordi di felicità di un amore ricacciato in fondo al cuore, che a distanza di cinquant'anni rifulge per un momento ancora, il tempo di illuminare la vecchiaia e riscattare una vita intera di dolore, un attimo prima che il destino rimescoli le carte di una vita straordinaria nella sua quotidiana disperazione.
"La vita è una buffa altalena che va su e giù: giorni di dolore e miseria, giorni di gioia e amore; io posso dire con tranquillità di aver vissuto tutto".
Una lezione di vita, uno splendido messaggio di amore.
"Accanto al banco del giudice, i due carabinieri in alta uniforme erano ancora lì, fermi. Mimma teneva la testa bassa; non riusciva a guardare Giovanni perchè sapeva bene che gli occhi del ragazzo erano puntati su di lei: ne sentiva gli spilli dello sguardo! ma come poteva Giovanni capire? Non era siciliano! Lei sapeva di amarlo più di ogni cosa al mondo, ma non era abbastanza forte per mandare tutti a quel paese e scappare con il suo amore. Poi per un attimo trovò il coraggio e la determinazione dettati dall'amore, alzò gli occhi e incrociò quelli di Giovanni. Si guardarono per pochi secondi, ma proprio in quei secondi tutto l'universo passò davanti a loro: stelle luminose e soli incandescenti, tuoni e fulmini. Poi Giovanni abbassò le palpebre per un istante e, contemporaneamente, fece un impercettibile movimento della testa, un "sì" che solo Mimma comprese. Giovanni aveva infine capito che Mimma rimaneva per sempre la sua ragazza, anche se il destino aveva deciso così! Con quel piccolo gesto, la incoraggiava a vivere la sua vita, a non pensare più a lui, a stare tranquilla! Nessuno si era accorto che i due ragazzi si stavano dicendo addio. Apparentemente più rilassata, lei abbassò ancora una volta lo sguardo e rimase a fissare un nodo del legno della scrivania, un nodo molto strano a forma di cuore. Sorrise fra sé: Giovanni in fondo aveva capito e forse l'aveva già perdonata".

domenica 7 novembre 2010

"Il club degli inocrreggibili ottimisti" di Jean-Michel Guenassia

Fine anni '50. Parigi. Michel ha undici anni, non capisce la matematica, adora leggere, giocare al calcio balilla, il suo gatto Nerone. Guarda con sospetto alle riunioni di famiglia a casa del nonno materno, evita gli aspri rimproveri della madre, i controlli del suo professore, le chiacchiere infinite della sorellina, si sforza di capire il padre e anela la compagnia del fratello maggiore Frank e dei suoi simpatici e anarchici amici Pierre e Cécile.
Tutto il suo mondo complicato di adolescente pressato dalle cattiverie gratuite degli adulti vissuto in un clima sociale e politico instabile per la guerra d'Algeria cambia improvvisamente prospettiva quando varca curioso la soglia del retrobottega del bistrò 'il Balto'.
Oltre la porta dove qualcuno ha scritto 'club degli incorreggibili ottimisti' un gruppo di uomini gioca a scacchi, beve, siede ai tavolini, qualcun'altro scrive.. non uno qualunque ma Sartre. In comune hanno tutti uno strano modo di parlare francese e un crogiuolo di storie, passioni e sentimenti imprigionati in un passato e in un luogo senza tempo destinato ad essere dimenticato, per sopravvivere a se stessi.
Profughi dei paesi dell'est, vittime o strenui credenti del comunismo, Igor, Leonid, Imré, Pavel, Tibor, Sasa diventeranno per Michel figure guida nella sua vita. Ascoltando le loro chiacchiere, i loro aspri litigi, le barzellette dissacranti di un dolore, di una perdita che altrimenti non si sarebbe in grado di gestire, Michel avrà modo di confrontare le quotidiane asprezze della sua vita mitigandole: imparerà a gestire i conflitti personali, la separazione dei suoi genitori, il tradimento del fratello, la fine di un'amicizia, il primo amore. Nell'intensa eppur breve sua stagione al club degli ottimisti mentre imperversa il rock'n'roll e la guerra fredda, il boom economico e lo scontro di ideali, Michel imparerà a 'crescere', non come un sopravvissuto ma come 'un uomo'.
"Sei vivo, non lagnarti, per te tutto è possibile"
Romanzo di formazione, affresco di un'epoca, 'Il club degli incorreggibili ottimisti' è un libro intenso, struggente, dal tratto indelebile. Parafrasando le stesse parole dell'autore "prima ancora d'aver letto, si indovina subito se un libro ci piacerà o no".. ebbene con Guenassia ha funzionato proprio così, il suo libro piace sin dal titolo, riuscitissimo. Una scrittura coinvolgente, personaggi straordinari, tutti noi vorremmo aver fatto capolino almeno una volta nel club del 'Balto' e compatire (partecipare all'altrui patimento) Sasa, Igor e gli altri.
"Non sapevo come oppormi. Come lottare contro il fuoco che distrugge le poesie? Ho trovato una sola soluzione: impararle a memoria. me le imprimevo in mente. Lì, non si poteva trovarle, non toglierle, non cancellarle. Quando arrivavano i sacchi dei sequestri, sottraevo qualche quaderno alle fiamme. Fissavo i versi nella mia memoria. me li ripetevo ogni notte. Ho saputo poi che altri avevavno fatto la stessa cosa. Delle donne hanno preservato l'opera del marito scomparso imparando a memoria le sue poesie. Finchè si era vivi, c'era una speranza di salvarle".
E ancora l'opera di Guenassia spinge a riflettere non solo sul comune passato recente ma sull'oggi, sulla figura degli esuli, degli esclusi, degli ultimi..
"Proclamare 'non sapevamo' è una menzogna collettiva rassicurante. I russi quanto i tedeschi, i francesi, i giapponesi, i turchi e gli altri sapevano cosa succedeva a casa loro. Nessuno è fesso. Gli arresti, le espulsioni, le angherie, le torture, le deportazioni, le esecuzioni, la propaganda, le foto truccate. Chi protestava spariva. E allora si taceva. Igor, Leonid, Vladimir, Imré, Pavel, io stesso e gli altri, nessuno ignorava niente. Un giorno la ruota si è fermata davanti a noi. Abbiamo avuto la fortuna di salvare la pelle. Non siamo più innocenti dei boia ai quali siamo scampati".

lunedì 1 novembre 2010

"Il cimitero di Praga" di Umberto Eco

Prendere in mano un romanzo di Umberto Eco è avere la certezza di cadere affascinati da una sapiente narrazione, di più è avere precisa contezza di cosa sia la narrazione: un intreccio perfetto calato in un contesto storico e sociale accreditato da certosino riscontro documentale, perizia nell'uso delle parole e di converso di una scrittura che illumina il percorso del lettore per le cinquecento e più pagine di una storia che si immerge nella realtà ottocentesca giocando con il falso rappresentato dal suo protagonista quel capitano Simone Simonini, esemplificazione del male, nelle cui trame, a tratti frutto di una mente disturbata, si finisce per restare invischiati, agghiacciati dal sospetto che un Simonini sia ancora tra noi, funzionale in ogni epoca proprio come il bisogno di un nemico da odiare.
Simonini nello specifico odia tutti: uomini, donne, odia se stesso.
Non sopporta i tedeschi, i francesi, gli italiani.
Non sopporta i gesuiti, i massoni, i rivoluzionari.
Vedrà morire impotente il padre repubblicano, si lascerà soggiogare dalle storie del nonno che gli ispirerà l'odio, quello sì profondo, verso gli ebrei.
Sarà abile truffatore, ingegnosa spia al soldo del potere, vile maschera nascosta nei meandri della storia di cui non sarà mai semplice spettatore: dal risorgimento italiano alla comune parigina, attraversando mezza europa e mezzo secolo:
"Sono stato un buon narratore, sarei potuto diventare un artista: da poche tracce avevo costruito un luogo magico, il centro oscuro e lunare del complotto universale".. ovvero la raccolta, il plagio, l'ideazione di documenti che di lì a breve avrebbero trovato pubblicazione sotto il nome de 'I protocolli del savi anziani di Sion': il piano dettagliato della presa del potere degli ebrei nel mondo, così come raccolto da un testimone diretto nel corso di una riunione di rabbini nel cimitero di Praga.
Proponendo temi, caratterizzazioni, rimandi tipici del feuilletton ottocentesco Eco trascina il lettore nelle fogne parigine un attimo dopo aver lasciato desinare il suo losco protagonista in uno dei locali più in vista di Parigi, affonda nel satanismo, mescola odi, tremori, rancori, vili vendette con inquietanti ammonimenti, tradimenti, uccisioni, fruendo dei consigli di medici incontrati per caso lascia che il suo Simonetti faccia autoanalisi giungendo al cospetto di un furente confronto con il suo doppio: personalità sgiunte ma accomunate dalla naturale propensione al male, un male capace di travolgere chiunque si frapponga sulla sua strada e sul proponimento di una vita: dar forma a un falso storico. "..a vender in qualche modo la rivelazione di un complotto non dovevo provvedere all'acquirente nulla d'originale, bensì soltanto e specialemnte quello che o aveva già appreso o avrebbe potuto apprendere più facilemnte per altre vie. La gente crede solo a quello che sa già.."