domenica 27 giugno 2010

"Acciaio" di Silvia Avallone

"Acciaio" di Silvia Avallone sta diventando il caso editoriale dell'anno come "La solitudine dei numeri primi" di Paolo Giordano un paio di anni fa, complice un buon ufficio stampa e il passaparola negli ambienti giusti. Gia premiato e in corsa per lo Strega il libro ha per protagonista il vuoto della società attuale, un vuoto che rischia di annientare le esistenze sembra volerci dire l’autrice ancor più -ma va là- nei quartieri periferici ed emarginati dove persino l'odore del mare, il suo colore è schiacciato dalla bruttezza delle case popolari, dalla fabbrica (l’acciaio del titolo viene da lì) che mangia i sogni e consuma i corpi.
Basta leggere Desiati -giusto per citare uno scrittore “giovane”- per sapere che tutto questo è stato già descritto, e senza presunzioni molto meglio. E baste prendere in mano un qualsiasi testo di Erri De Luca per cogliere la fatica e il disagio dell'operaio, del muratore, dell'uomo che lavora senza però essere atterriti dalla pochezza espressiva e dalla mancanza di profondità che annebbia lo scrivere dell’Avallone.
La stessa si concentra poi su due ragazzine, Anna e Francesca, due adolescenti colte nel momento in cui solitamente si sboccia alla vita: quattordici anni. Tutto corre nel tempo che va da un'estate all'altra. Meno di un anno. Il loro è un atteggiamento strafottente, quasi aggressivo. Questo solo pensano possa salvarle dal confondersi con la massa informe della gente senza speranza, senza futuro che le circonda. Non c’è un momento in cui traspare gioia vera da quello che fanno, nemmeno uno, nemmeno quando l’autrice vuol darcelo ad intendere. Le due sanno di essere belle, giocano a provocare quando solo pochi mesi prima si dilettavano con le bambole, ora quelle bambole sono i maschi e i maschietti del quartiere, quelli che le sbirciano quando si dimenano nude nel bagno al ritmo di una musica assordante, quelli che seguono i loro corpi strizzati in microcostumi in mare. Anna e Francesca pensano di sapere cosa ‘non vogliono’: restare a via Stalingrado, ma ignorano i sentimenti veri, non padroneggiano i diversi aspetti della vita che presto o tardi le metterà alla prova: un padre violento o assente, una madre rassegnata o in perenne attesa, le piccole invidie della gente, un lutto, il tradimento, le stesse inquietudini adolescenziali che rinnegano per sentirsi più grandi, calpestando tappe essenziali per la formazione della persona.Intorno alle due modelli sbagliati, vite sacrificate, emozioni represse. A salvare Francesca e Anna forse solo l’amicizia e qualcosa di più, qualcosa che non si sa spiegare.. sì forse l’amore che non si può dire, che si deve rinnegare perché agli occhi di tanti illecito, sbagliato. Invece è l’amore che può salvare, può dare la forza di guardare oltre lo spazio ‘finito’ di un cortile, oltre l’orizzonte, verso l’isola d’Elba che segna un nuovo inizio.Romanzo che attanaglia, inquieta, descrive quel “nulla che riempie” tanti giovani schiacciati da falsi miti, ipocrisie e una società in cui i modelli di riferimento sono finiti triturati nel qualunquismo televisivo, una società che beccheggia nel mare agitato della crisi.Un romanzo che scuote appena, non segna alcuna novità né per contenuti né per narrazione e di cui, parafrasando commenti esageratamente benevoli di certa stampa, non ‘ci si innamora’ (Gioia) né tanto meno ‘sorprende’ (Vanity Fair).

sabato 26 giugno 2010

"Il caso Neruda" di Roberto Ampuero

"..la poesia ti trasporta in cielo, il romanzo poliziesco ti mostra la vita esattamente per quello che è.."
E la vita del giovane cubano Cayetano Brulé nel Cile del '73, prossimo al dramma del colpo di stato militare che condannerà a morte Allende e il sogno di un paese migliore, è quella di uno sbandato che per seguire l'amore ha perso tutto di sè, in attesa di ricominciare.
Ignora che l'inizio della sua nuova vita lo segnerà inaspettattamente un uomo amato ed osannato in tutto il mondo. Un uomo anziano, malato che si perde con lo sguardo all'orizzonte ricordando il passato e le donne che hanno ispirato le sue poesie. E' Pablo Neruda.
E quasi fosse un personaggio uscito dalla sua penna, Cayetano, affascinato e incuriosito, accetterà i consigli dell'illustre mentore e si improvviserà detective al suo servizio.
Obiettivo: rintracciare un medico messicano, Angel Bracamonte, che si dice abbia scoperto una nuova cura per combattere il cancro. Questo almeno è quello che crede Cayetano.
Neruda però non cerca lui nè la sue cure miracolose, sa che la sua fine è prossima, inevitabile. No, Neruda cerca la moglie di Bracamonte.. lo ossessiona sapere se la figlia che la donna diceva di aspettare da lui è davvero sua. Rinnegata al tempo per amore della sua poesia.
"In vita mia ho avuto tutto, Cayetano: amici, amanti, fama, denaro, prestigio, perfino il Premio Nobel mi hanno dato. ma non ho mai avuto un figlio. Beatriz è la mia ultima speranza, una speranza che ormai avevo sepolto da tempo. Darei tutta la mia poesia in cambio di quest'unica figlia".
Dal Cile a Cuba, dalla Germania dell'Est al Messico in un periglioso viaggio in cerca di una donna dalle mille identità.. infine sarà Beatriz Bracamonte a presentarsi a Cayetano e rivelargli la verità sulla sua relazione con Neruda.
Forse però è tardi.. troppo tardi per chi sul letto di morte smette di lottare quando intorno il proprio mondo si infrange sotto l'onda violenta della dittatura.
Chi era davvero Pablo Neruda? Il poeta acclamato o l'uomo egoista che ha sacrificato l'amore, la venerazione, il sacrificio di tante donne all'estro del suo genio? Il simbolo di una società che aspirava ad un mondo migliore o un vecchio bisognoso di conferme?
Un noir socio-letterario che mescola finzione e realtà per raccontare Neruda e il suo tempo.
"Non mi piaccione le persone che leggono solo buoni libri. E' segno che non conoscono il mondo".

"Gli informatori" di Juan Gabriel Vázquez


“La vita che ho ricevuto in eredità –questa vita in cui io non sono più il figlio di un oratore venerato, di un professore insignito di un’onorificenza e neppure dell’uomo che soffre in silenzio e che rivela poi pubblicamente di aver sofferto, bensì dell’essere in assoluto più spregevole: un uomo capace di tradire un amico e vendere la sua famigli- è cominciata un lunedì, un paio di settimane dopo Capodanno, quando attorno alle dieci di sera…”
Un libro -la biografia di un’ebrea tedesca rifugiata in Colombia- si mette tra padre e figlio. Apparentemente i due hanno solo una cosa in comune: il nome, Gabriel Santoro. Il padre è un uomo pubblico, un oratore illustre, premiato. Il figlio un giornalista, alla sua prima prova da scrittore. Il tema del libro: le delazioni e le denunce verso i cittadini tedeschi residenti in Colombia negli anni quaranta, colpevoli di simpatie filonaziste. Migliaia di uomini e donne innocenti, famiglie distrutte, esistenze segnate per sempre dal tradimento.
Ma chi era davvero Gabriel Santoro? Quale tormento agitava il suo animo? Perché, scampato ad un infarto, sentiva di dover riparare agli errori di tutta una vita? Quanto meno.. ad uno in particolare.. qualcosa che ruotava intorno alla figura di Enrique Deresser?
Fino all’inquietante verità.
“Ci sono cose che quando le sai ti inquinano”
Un libro sul potere della memoria, pubblica e privata. Un dramma psicologico che mette a nudo la responsabilità non solo dei singoli ma di un’intera nazione -la Colombia-, rea di aver taciuto mentre ignobili delatori distruggevano le vite di amici, parenti, conoscenti la cui unica colpa era ascrivibile al destino: quella di averli fatti nascere in Germania.
“..il sistema delle liste nere ha dato potere ai deboli, e i deboli sono la maggioranza”.
Un libro che costringe a riflettere, un libro forte, scritto con vibrante potenza.

domenica 20 giugno 2010

"Acqua in bocca"

Il prossimo 23 giugno esce per i tipi della Minimum Fax "Acqua in bocca" giallo firmato Camilleri e Lucarelli. Ecco la video intervista ai due scrittori italiani:

http://www.youtube.com/watch?v=O2xvm2MpdDg&feature=player_embedded#!

sabato 19 giugno 2010

SARAMAGO: "Io autore impegnato perché mi sento un cittadino"

Un inedito del Nobel scomparso a 87 anni.

Come scrittore, credo di non essermi mai separato dalla mia coscienza di cittadino. Ritengo che dove va uno, dovrà andare l'altro. Non ricordo di aver scritto una sola parola che fosse in contraddizione con le mie convinzioni politiche. Ma questo non significa che abbia mai posto la letteratura al servizio diretto della mia ideologia. Voglio dire, piuttosto, che nella scrittura cerco, in ogni parola, di esprimere la totalità dell'uomo che sono.
Ripeto: non separo la condizione di scrittore da quella di cittadino, ma non confondo la condizione di scrittore con quella di militante politico. È ovvio che le persone mi conoscano più come scrittore, ma c'è anche chi, indipendentemente dal minore o maggiore valore che attribuisce alle opere che scrivo, pensa che quello che dico come cittadino comune gli interessi e importi. Nonostante sia lo scrittore, e solo lui, colui che porta sulle spalle la responsabilità di essere questa voce. Lo scrittore, se è uomo del suo tempo, se non è rimasto ancorato al passato, deve conoscere i problemi del tempo che gli è capitato di vivere. E quali sono i problemi oggi? Che non siamo in un mondo accettabile, esattamente il contrario, viviamo in un mondo che va di male in peggio e che a livello umano non serve.
Attenzione, però: che non si confonda quello che rivendico con una qualsiasi espressione moralizzante, con una letteratura che viene a dire alle persone come dovrebbero comportarsi. Sto parlando d'altro, della necessità di contenuti etici senza nessuna traccia di demagogia. E, condizione fondamentale, che non ci si separi mai dall'esigenza di un punto di vista critico.

© José Saramago & Editorial Caminho, S. A., Lisboa - 2010-05-21 by arrangement with literarische Agentur Mertin Inh. Nicole Witt e K., Frankfurt am Main, Germany .
Per gentile concessione di Giangiacomo Feltrinelli Editore.

"Dopotutto" di Elias Mandreu

Originalità non sempre è indice di riuscita in un romanzo. E' il caso di 'Dopotutto' edito da Il Maestrale per la penna di Elias Mandreu pseudonimo di un quasi debuttante nel panorama della narrativa italiana. La storia sembra rubata a qualche vecchio episodio di X-Files.. peccato che il protagonista della storia di Mandreu non sia Mulder!
Nei pressi di un piccolo paese sardo in una torrida mattina estiva Andrea, un giovane della zona, si imbatte per caso nel corpo di una donna vittima di un incidente. Pochi istanti prima di spirare la stessa lascia scivolare tra le mani del soccorritore un ritaglio che richiama il malore accorso al sindaco di Fraus, un paese della zona, più di vent'anni prima.
Strane coincidenze, una buona dose di curiosità e il bisogno di evadare dal grigiore di una vita lavorativa ben lontana dai propri sogni spingono Andrea a interrogarsi sullo strano incidente della giovane fino a lasciarsi intrigare dai racconti di sedicenti pazzi convinti di essere anime reincarnate.. Elvis, un generale francese a servizio di Napoleone e tanti uomini e donne sbalzati nel tempo, nel corpo di ignari ospiti.. tutti però ruotano intorno alla Sardegna, a quel che la sua terra ospita.. ignari del ruolo di un farmaco -la psicocronina- capace di cose incredibili e della cui esistenza bisogna per convenienza tacere.
Una storia "incredibile" che cede sotto il peso di scritture spazio-temporali parallele che stentano a stare insieme, sfilacciate da un susseguirsi di rimandi e forzature narrative cui il lettore finisce per cedere senza capirne tutti i passaggi.
Peccato..

venerdì 18 giugno 2010

E' morto lo scrittore Josè Saramago

http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/249192/

"Bright star" regia di Jane Campion

Struggente, intenso, un amore che illumina e consuma il giovane poeta John Keats e la sua vicina di casa, Fanny Brawne. Lei sarà la sua musa, lui l'eroe romantico che muore lontano dalla sua terra vinto dalla speranza di una guarigione che lo riconduca a lei, alla sua poesia, alla sua fonte di vita.
Un ritratto quello della Campion di struggente realismo ed emozionante spasimo.
Una cura maniacale nei dettagli, nelle atmosfere rapite della campagna inglese, nella vita quotidiana, un incedere attento alla scoperta del cuore della giovane Fanny pronta a mutar d'animo al cospetto dell'oggetto amato, a soffrire consapevolmente legandosi ad un uomo che non avrebbe potuto prendersi cura di lei e che la malattia le avrebbe portato via. Il dolore immenso della perdita, gli attimi di gioia infinita dello stare insieme.
Bravissima la protagonista Abbie Cornish.
Un film emozionante dalla prima all'ultima immagine, la poesia prende forma, incanta lo spettatore. Come spiegare il loro silenzio rapito lungo i titoli di coda, avvinti dalla voce che recita Keats?
"Vorrei quasi che fossimo farfalle e vivessimo appena 3 giorni d'estate, 3 giorni così con te li colmerei di tali delizie che cinquant'anni comuni non potrebbero mai contenere..."

giovedì 17 giugno 2010

"La papessa" regia di Sönke Wortmann

Produzione e cast europeo per il film diretto da Sonke Wortmann "La papessa" che racconta tra leggenda e realtà dell'unica donna ascesa al soglio pontificio nel IV secolo d.C., celando ovviamente la sua identità. Giovanna, figlia di un prete di paese ossessionato dal male che è nella donna al punto di batterla e osteggiarla in ogni modo nell'inclinazione naturale allo studio preferendole i figli maschi, riesce con la tenacia e una straordinaria capacità di pensiero ad ottenere l'ammissione alla scuola della cattedrale di Dorstadt. Seguita dal maestro greco Esculapio prima, abbacinata dal sapere racchiuso nei libri poi, col tempo maestra nell'arte medica e teologica, riuscirà a dispetto di mille ostacoli, finanche l'amore represso per il nobile Conte Gerold ad essere libera di donarsi agli altri mettendo in pratica le parole delle Sacre Scritture, spesso fuorviate da monaci e potenti della chiesa, gli stessi che condanneranno il suo breve pontificato a una fine tragica.
La storia di un'eroina umiliata quella di Giovanna, una donna in lotta per l'emancipazione in un medioevo buio nell'anima dei suoi uomini.

domenica 13 giugno 2010

"Quello che resta" di Pamela Aidan

Ultimo capitolo della trilogia sulla figura di Fitzwilliam Darcy, in 'Quello che resta' la Aidan mette a nudo tutta la fragilità dell'eroe creato dalla penna della Austen a seguito del rifiuto della proposta di nozze a Elizabeth Bennet. Il duro colpo al suo orgoglio spingono però Darcy dopo momenti di rabbia a riconsiderare la sua vita, il suo mondo, gli insegnamenti ricevuti, e a dispetto di tutto a non venir meno ai suoi doveri, ai suoi principi nei confronti dlel'unica donna capace di generare in lui il desiderio di una famiglia, la prospettiva di un futuro degno.. in poche parole l'unica a fargli pensare, desiderare forsennatamente l'amore.
Quando tutto sembra perduto, sostenuto solo dall'affetto sincero della sorella Georgiana, del nobile amico Dy, e del fervente supporto del domestico Fletcher un inaspettato incontro con Elizabeth nell'amata Pemberley sembra riaccendere le speranze in Darcy. E' un attimo perchè l'odiato nemico di sempre.. Wickham sembra frapporsi sulla strada della felicità. Felicità troppo cara a Darcy perchè non possa sfidar tutto, anche l'impossibile per sperare ancora nell'amore di Elizabeth e vincerlo..
"Mia diletta, mia dolcissima Elizabeth.."

"Il gioco dlel'angelo" di Carlos Ruiz-Zafón

“C’è chi preferisce credere che sia il libro a scegliere lui.. Il destino per così dire. Quella che lei vede qui è la summa di secoli di libri perduti e dimenticati, libri condannati ad essere distrutti e ridotti per sempre al silenzio, libri che preservano la memoria e l’anima di epoche e prodigi che nessuno più ricorda”.
Thriller, romanzo storico, delicata e tragica storia d’amore, romanzo di formazione, questo e di più ne ‘Il gioco dell’angelo’.

La rec. n.277 completa è disponibile qui:
http://www.box.net/shared/md069yosxt

domenica 6 giugno 2010

"Spasimo" di Federico De Roberto

Un De Roberto così pochi lo ricordano. A voler esser pignoli pochi ancora ascrivono allo scrittore napoletano autore de 'I Vicerè' il plauso che merita. E invece sul finire del 1896 esce a puntate un romanzo il cui scopo è d'essere 'interessante' per piacere al pubblico femminile bisognevole di quella 'sospensione di curiosità' tanto cara ai romanzi in voga in Europa al tempo, per intenderci quelli usciti dalla penna di Collins, Conan Doyle e compagni.
Ben prima che il genere poliziesco furoreggiasse nelle letture degli italiani De Roberto se ne fa maestro proponendo al pubblico del tempo 'Spasimo'.
In una villa sul lago di Ginevra in un giorno d'autunno s'avverte un colpo di pistola. Poco dopo viene rinvenuto senza vita il corpo di una donna. Si tratta della bella contessa Fiorenza d'Arda. Si pensa subito al suicidio. Tutto lascia supporlo. Le sue sofferenze, le testimonianze delle persone che erano al suo servizio, i suoi scritti.
Eppure qualcuno si ostina a credere ad un assassinio.
Robert Vérod, caro amico della vittima, forse un nuovo amore, sospetta del principe russo Alessio Zakunine, compagno della donna, anarchico e rivoluzionario.
Incaricato delle indagini il magistrato Ferpierre, cui spetta il compito di dipanare il mistero.
Fiorenza d'Arda religiosa, caritatevole, di alti principi morali anche se assai ingenua in fatto di sentimenti, sembra decisa a negarsi ogni speranza, ogni gioia futura con un'altro uomo pur di non rompere il legame -pur mai ufficializzato, non per sua decisione- con Zakunine. Affranta per il fallimento personale, certa di scorgere nell'amicizia con Vérod non requie al suo tormento ma nuovo dolore guarda al suicidio come unica via d'uscita.
Così viene dunque interpretato il suo gesto. Ma può una donna religiosa peccare con il suicidio? Può una donna che riesce a salvare, a ridare forza di vivere agli oppressi, a Zakunine prima, allo stesso Vérod poi abbandonare la vita con un atto estremo, senza nemmeno un biglietto in cui spiegare? Può una donna che poche ore prima ha lasciato intendere di voler ancora amare, annullarsi fino a cercare la morte?
Il magistrato indaga sulla personalità complessa della vittima, ma va oltre e si interroga sugli altri protagonisti della vicenda. Immedesimandosi ora nell'uno ora nell'altro.
Cosa si cela dietro la morte della donna?
Un apparente banale triangolo amoroso mandato in pezzi dalla gelosia. O qualcos'altro?
Quali erano i sentimenti di Zakunine? Perché il principe aveva fatto ritorno nella villa della contessa dopo un lungo periodo di separazione? Cosa cercava? Protezione, denaro? Rivendicava l'amore quando sentiva di essere sul punto di perderlo per sempre a dispetto di un altro? E chi era la giovane russa che lo accompagnava? Una compagna di partito? Una nuova amante?
Alternando lunghi interrogatori, ascoltando i testimoni, leggendo i diari della vittima il giovane magistrato Ferpierre crede di essere arrivato alla soluzione del caso salvo essere scalzato da una nuova prova, da una confessione, che ribalta tutto.
Alla fine sarà l'assassino -provato dalla sua stessa coscienza- a rivelare tutto di sé, a raccontare gli ultimi tragici istanti di vita della bella contessa triste.
"Vi sono di queste creature venute al mondo per convertirci alle cose della quli purtroppo la vita ci fa dubitare. Il loro cuore è come una fontana di salute. voi felice che la conosceste, che l'amaste, che ne custodite gelosamente l'imperituro ricordo".
Felici noi lettori invece che abbiamo avuto modo di apprezare a distanza di più di ottant'anni dall'ultima edizione, un primo poliziesco all'italiana -anche se sui generis- ricco di una scrittura felice, viva, capace di trasmettere emozione, partecipazione per una protagonista -haimé vittima- trasfigurata nel giro di poche pagine da eroina virtuosa a istigatrice.
Una scrittura che affonda le mani nell'introspezione psicologica per dare un senso all'azione dei personaggi.
Una scrittura che rivela pensieri sull'amore, sul senso di dovere e responsabilità, sui patimenti tutti sofferti dall'animo umano.
Una scrittura che rifugge come accade oggi dall'orrore del dettaglio macabro senza per questo essere meno credibile.
De Roberto pertanto raggiunge l'obiettivo, il suo è davvero un romanzo interessante "nel senso che le lettrici danno a questa parola".. ovvero non noioso.

"Il sogno del maratoneta" di Giuseppe Pederiali

Olimpiadi di Londra, 1908.
L'italiano Dorando Petri arranca sulla pista del White City Stadium ad un passo dal traguardo. Non ha più forze, si ferma, poi avanza di qualche metro. Tra gli assistenti di gara qualcuno si fa avanti per rimetterlo in piedi sebbene l'atleta non abbia chiesto aiuto. Infine ecco il filo di lana del traguardo. E' primo.. primo! Conquistata la vittoria si lascia cadere stremato per terra. Intervengono i medici di gara. Intanto lo stadio intero plaude la sua memorabile impresa.
Dorando però non ha quasi il tempo di gioire. I giudici hanno accolto il ricorso del team americano. Dicono che è stato aiutato, qualcuno avanza il sospetto che fosse drogato, per via del tanfo che emanava. E' vero puzzava.. sudore misto all'aceto balsamico di Modena con cui si bagnava le labbra.
Nonostante la medaglia negata, a Londra, nel mondo intero è a lui che tributano onori. La regina d'Inghilterra lo premia, Conan Doyle scrive di lui sui giornali. In pochi mesi si consolida la leggenda del maratoneta italiano.
Come un romanzo la vita di Dorando Petri, passa dalla miseria delle campagne modenesi alle tournée in America.. con la consapevolezza di vivere il sogno di sempre: correre, correre, correre non per la gloria ma per se stessi perchè:
"Vedete correre la maratona è come vivere un'intera vita in due o tre ore, non so se mi spiego. E' un concentrato di gioie e dolori. Ci vuole forza di volontà per superare i momenti di sconforto, ci vuole resistenza al dolore per andare avanti anche quando i piedi si coprono di piaghe, i polmoni sembrano scoppiare e la vista si appanna. non vuoi fermarti, perchè devi vivere, devi comunque arrivare, devi essere dentro tutto intero alla bellissima fatica".
Una prosa leggera per una biografia romanzata che scalda il cuore e rispolvera il mito di un atleta che l'Italia non ha mai saputo o voluto apprezzare come meritava.

sabato 5 giugno 2010

"La nostra vita" di Daniele Luchetti

Una coppia giovane e felice quella di Claudio ed Elena. Una famiglia italiana come tante, tratteggiata dal regista ad un passo dai luoghi comuni: casa in periferia, passeggiata al centro commerciale, voglia di vivere e pochi soldi, bimbi piccoli, una vacanza in Costa Smeralda da sognare, una colonna sonora reale (le canzoni di Vasco Rossi) a segnare i momenti belli e brutti. Una felicità reale, palpabile, sentimenti semplici, legami familiari stretti e sinceri.
Poi l'impatto dolente e devastante di una tragedia che frantuma tutto. Elena muore di parto e Claudio elabora il lutto semplicemente negando, rimandando il momento della consapevolezza dell'accaduto. Decide di sostituire l'affetto di Elena per sé e i suoi figli con beni materiali. La ricchezza fittizia che Claudio vuole e ottiene è il frutto di una serie di compromessi con la propria coscienza, la ottiene spostando i paletti dell'onestà che Elena reclamava e otteneva per la loro famiglia. Claudio passa su tutto, mercanteggia la morte di un povero cristo sul cantiere in cui lavorava per un pezzo di fortuna. Ma la scelta rischiosa si rivela fallimentare... o almeno lo è in apparenza. Sarà intravedere l'abisso, il male a spingere Claudio a chiedere aiuto, non solo economico, ad amici e fratelli. Un supporto per tornare a credere in se stesso, nel dono della famiglia e dell'esempio che Elena gli ha lasciato.
Così, dolente, inquieto, ancora poco avvezzo a perdonare e perdonarsi Claudio ricomincerà a vivere 'la nostra vita'.
Proprio come l'anima fragile di Vasco Rossi "la vita continua anche senza di noi".
Intensa -forse troppo- la recitazione di Elio Germano, nei panni del protagonista Claudio, premiato come miglior attore al festival del Cinema di Cannes. Capace la regia di Luchetti di descrivere 'la nostra vita' tra affanni e speranze, silenzi e compromessi, affetti e inquietudini. Apprezzabile anche la scelta di affidare ad attori come Bova e Zingaretti ruoli lontanissimi dalle loro precedenti esperienze artistiche.
E poi la frase pronunciata nel finale da Liliana, la sorella di Caludio, vale e/o salva il film al di là delle canzoni gridate: "I tacchi sono come i parenti: sono scomodi, ma aiutano".

"Glifo" di Percival Everett

Ralph..
un bambino..
la sua diversità.
Pochi mesi di vita e la straordinaria capacità di articolare pensieri, leggere, scrivere, analizzare l'ambiente e gli esseri che lo abitano. Di contro un ostinato mutismo.
Per suo padre -un professore universitario troppo preso da sé- Ralph è poco più che un mostro.
Per sua madre -vinta dall'incapacità di esprimere i proprio sentimenti attraverso l'arte- è l'essere da amare e proteggere.
Intorno..
sedicenti militari, ricercatori pazzi, preti ossessionati dal demonio, grandi studiosi e scimpanzè! Tutti coinvolti nell'obiettivo di mettere le mani sul piccolo genio per sfruttarlo, analizzarlo o eliminarlo.
Un finale aperto legittima un'auspicata normalità.

A dispetto di Ralph e i suoi prodigi spiazzanti, la vera protagonista di 'Glifo' è la scrittura innovativa -non finiremo mai di dirlo- di Everett.
Difficile, caotica, impegnativa con continui rimandi eruditi a linguaggi altri e pensieri filosofici. Un apparente guazzabuglio in cui si mescolano schemi grafici, artifici narrativi, poesie, dialoghi surreali tra pensatori del passato e linguisti contemporanei ma anche osservazioni logiche e l'elogio dei sentimenti sulle diverse forme di sapere.
Ralph svincola dalla sua vita di potenziale caso scientifico affidandosi alle cure dell'unico essere che lo ama a prescindere da quel che è: sua madre appunto.
Del resto, canoni di stile a parte, come suggerisce il piccolo Ralph (peraltro voce narrante): 'solo una storia è una storia'.

mercoledì 2 giugno 2010

"Vi presento Sally" di Elizabeth von Arnim

Grandiosa la von Armin, ogni suo romanzo -riproposto dai tipi della Bollati Boringhieri- merita un plauso riservando protagoniste femminili assai particolari.
Piccolo scorcio della campagna inglese. In una drogheria di paese come una perla rara viene nascosta al mondo ovvero agli occhi avidi del genere maschile una ragazza dalla straordinaria e fresca bellezza: Salvatia, per tutti semplicemente Sally.
Tanto bella quanto poco avvezza nell'esprimersi Sally accetta di sposare un brillante studente di Cambridge, il primo a conquistare la fiducia del padre della giovane, ben lieto di liberarsi di un simile fardello. De tutto incapace di avere pensieri propri Sally si riscopre presto intrappolata nei progetti del marito Mr. Luke e della suocera, decisi a sgrezzare la piera dura per far rilucere il diamante della sua bellezza dotandola di personalità e dialettica necessarie a far di lei una donna capace quanto meno di non nuocere all'ascesa accademica e personale del giovane studioso.
Involontariamente ribelle, testarda nel voler ricercare il sogno semplice di bambina -avere per sé una casa, un marito e un bimbo da accudire (peraltro già in viaggio!!)- Sally romperà le catene del matrimonio salvo finire in un ingranaggio surreale di ammirazione, gioco e infatuazione di una nobile famiglia cui offrire ore di diletto ma anche occasione per ricevere aiuto. Per una volta Sally viene apprezzata per quel che è, una bella ragazza stralunata, dal linguaggio popolare, ignara dei processi intorno a lei, semplicemente decisa a perdonare e perdonarsi la sventatezza di una fuga che potrebbe compromettere il proprio futuro.
Così non è. Sally vivrà il suo sogno a dispetto del marito: "Eppure Sally che aveva il complito di plasmare, stava plasmando lui. Inconsapevolmente".
Divertente, affascinante, ingenua. Così Sally capace di ammaliare con la sua bellezza e stupire con la sua ingenuità.
Un romanzo delizioso, una scrittura semplice e arguta.

"Draquila" di Sabina Guzzanti

Il film documentario di Sabina Guzanti -tanto inviso ai rappresentanti del nostro governo- è un pugno nello stomaco nelle coscienze dei cittadini, sospinti volutamente a pensare ad altro.
Il dramma vissuto dagli abruzzesi è palpabile benché la Guzzanti non indugi sulle vittime, sulle macerie. Basta a descriverlo il clima spettrale dell'Aquila deserta, per le cui vie si percepisce la vita interrotta per sempre alle 3:32 della notte del 6 aprile.
L'obiettivo della Guzzanti è capire.
Capire perchè non si sia puntato sulla prevenzione, benchè la documentazione scientifica sin lì raccolta dagli esperti paventasse come concreto il rischio di un violento terremoto.
Capire come e perchè abbia lavorato la Protezione Civile.
Capire a chi sia convenuto in fatto di immagine il terremoto, e soprattutto capire cosa ne è stato degli abruzzesi, delle loro case, delle loro vite spezzate.
E ancora capire come si sia arrivati a 'militarizzare' i campi di accoglienza per gli sfollati, salvo smantellarmi in maniera coatta alle soglie dello scorso inverno, il tutto sempre nel bene della gente.
Capire come tutto, anche un'immane tragedia, si sia ridotta ad occasione di guadagno per un manipolo di sodali prossimi a politici e dirigenti pubblici.
Diranno, anzi hanno già detto, che la Guzzanti è "di parte", che immagini (pochissime quelle nei campi dove era impossibile accedere per non turbare la quiete dei residenti!?) e interviste sono frutto di distorsione mediatica invece appare evidente a chiunque sia dotato di senno se non di sensibilità che in Italia la democrazia è ormai fittizia. Ogni diritto viene calpestato, le leggi -nello specifico la 225 del '92, istitutiva del servizio nazianle della Protezione Civile- adattate ad uso e consumo dei potenti e l'illusione che ci sia rimedio a questa classe politica e al loro governo resta tale.. un'illusione appunto.
Un breve documentario che annienta.

martedì 1 giugno 2010

"Per l'alto mare aperto" di Eugenio Scalfari

Da un grande del giornalismo italiano un saggio illuminante sulla modernità, epoca fatta cominciare con la comparsa degli scritti di Montaigne e spentasi nella metà dello scorso secolo. Un viaggio quello di Scalfari che inizia passeggiando con Diderot, passando ai grandi protagonisti dell'illuminsmo, scrittori e filosofi dell'800, da Cervantes a Leopardi, da Nietzsche, Descartes, Kant e Hegel a Tolstoj, Proust, Kafka e Joyce.
Riflessioni sui moderni.. piccole isole in un mare di barbari ormai contemporanei, vieppiù confinati ai margini dagli imbarbariti che ragionano con canoni a noi comuni deformandoli.
Una scrittura piacevole, discorsiva che incuriosisce, a tratti esplicativa su temi quali l'assoluto, la tolleranza, la formazione dell'opinione pubblica, l'autonomia della coscienza, la libertà e molto altro. Un viaggio interessante e coinvolgente che trascina il lettore 'per l'alto mare aperto'.